di Paolo Vincenti –

Siamo donne oltre le gambe c’è di più
donnedonne un universo immenso e più

(Joe Squillo- Sabrina Salerno)

Ieri 8 marzo, sciopero generale delle donne. Siamo nella Lisistrata di Aristofane? Nella famosa commedia greca, le donne facevano lo sciopero del sesso per costringere i loro uomini a cessare la guerra, smettere di menarsi il pistolino fra di loro, e tornare a casa a sbatterle, facendo il proprio dovere di mariti. Invece oggi le donne scioperano per qual motivo? Contro chi? A favore di che? Mistero del femminismo 4.0 spinto liberal progressista vattelapelarelapatata! Da che mondo è mondo, lo sciopero si fa per rivendicare maggiori tutele o chiedere aumenti salariali o protestare contro provvedimenti governativi ritenuti sbagliati o difendere la propria dignità contro il preteso sfruttamento da parte di un datore di lavoro, che sia pubblico o privato. In tutti i casi, si protesta contro un ente o contro qualcuno riconosciuto, ben individuabile, come il Governo, il Parlamento, un Ministro, il titolare di un’azienda privata, il management di una ditta pubblica, ecc.  Contro chi protestano le donne dell’otto marzo, ribattezzato  “Lotto marzo”? Contro gli uomini usurpatori e maneschi. Eh? Ma si può scioperare contro gli uomini violenti, tenendo chiusi i negozi, disertando il posto di lavoro, creando anche enormi disagi alla collettività? Vero che ogni pretesto è buono per buttarla in caciara, e perdere un giorno di lavoro fa comodo a tutti, sebbene non retribuito. Ma paralizzare il traffico cittadino, tenere chiuse le scuole, serrati i negozi, a chi giova? Non certo a quelle stesse donne che rivendicano più diritti per sé, sottraendone per un giorno a tutti. Questo sciopero crea disagio e non aiuta l’emancipazione, sicché come scrive Filippo Facci su Libero del 7 marzo 2017, “lo sciopero delle donne aumenta solo le distanze”.  In Italia lo sciopero è organizzato dal movimento “Non una di meno” e appoggiato da tantissime sigle sindacali fra le quali è facile disorientarsi. Dice, è uno sciopero proclamato a livello mondiale. Ma se la follia è virale e contagia tutto il mondo, non per questo è minor follia. Insania globale. La violenza sulle donne è un fenomeno gravissimo, va da sé. Ma non è con i flash mob e d i sit in che si risolve. Faccio mia la provocazione di Pietro Senaldi su “Libero”, dell’8 marzo 2017: “Più patate, meno mimose”.  L’articolista di Libero fa riferimento al vespaio di polemiche sollevato da un altro titolo molto coraggioso del giornale: “patata bollente”, a firma del direttore Feltri, riferito alla grana giudiziaria che si è abbattuta sulla sindaca di Roma Virginia Raggi. Questo sciopero”, scrive Senaldi, “è inutilmente divisivo, fomenta il sessismo e tra asili chiusi, mezzi che non vanno e giornata di lavoro non pagata, metterà in difficoltà soprattutto le donne”. E cita poi l’iniziativa estemporanea di due artiste, Ilaria Marchesini e Silvia Lana, le quali hanno lanciato una curiosa iniziativa in diverse piazze d’Italia, distribuire delle patate con la scritta “ashtag non si baratta”. Esse fanno riferimento al fatto che alcuni uomini per autorizzare loro mostre hanno chiesto in cambio favori sessuali e dunque le due distribuiscono ai passanti queste patate chiedendo se vogliono farsi fotografare tenendo in mano il tubero ed il cartello con la scritta anzidetta. Pure femministe si professano le due donne ma, evidentemente, è la conclusione di Senaldi, femministe illuminate, e insomma ci sono femministe e femministe. Quindi motteggia, e io sottoscrivo:  “care donne, meno mimose e più patate felici”.

Paolo Vincenti