di Antonio Stanca –

«Io non so fare discorsi,
mi contenterò… di ripetere l’augurio
che i vecchi pastori di Sardegna rivolgevano
ai loro amici e parenti: salute!… Salute
al Re di Svezia, salute al Re d’Italia, salute
a voi tutti Signore e Signori»
(G. Deledda, Stoccolma 1926)

Scrittore, sceneggiatore e commediografo, Marcello Fois è nato a Nuoro nel 1960 e si è laureato in Lettere a Bologna nel 1986. Ha cominciato a scrivere nel 1989. Romanzi e racconti sono stati i suoi primi lavori, poi è passato alla sceneggiatura televisiva e cinematografia ed infine al teatro. Non ha mai smesso, tuttavia, di dedicarsi alla narrativa e del 2015 è il suo ultimo romanzo, Luce perfetta. Più volte è stato premiato. Vive e lavora a Bologna, è un autore noto al pubblico italiano, fa parte della corrente letteraria detta “nuova letteratura sarda” e a Novembre del 2016, a cinquantasei anni, ha pubblicato, presso Einaudi, Quasi Grazia, un’opera che “in forma di teatro” vuole ricostruire tre momenti importanti della vita della scrittrice Grazia Deledda (Nuoro 1871- Roma 1936): quando nel 1900 a Nuoro lascia col marito la casa e la famiglia per stabilirsi a Roma, quando nel 1926 a Stoccolma riceve il Premio Nobel e quando nel 1935 a Roma le viene diagnosticata la grave malattia che un anno dopo la porterà alla morte.
La pièce verrà rappresentata in teatro e regista sarà Veronica Cruciani.
Non è una ricostruzione fedele, come lo stesso Fois ha voluto precisare, e per questo permette di sapere molto di più, permette di conoscere aspetti ignorati o poco noti della figura della Deledda. Succede così quando uno scrittore dice di un altro scrittore perché gli riesce più facile spiegare certe situazioni, capire certi pensieri, cogliere certi significati. Quel che emerge, infatti, dai tre atti, che compongono la pièce del Fois, è lo stato d’animo, l’umore, la condizione morale vissuta dalla scrittrice sarda in quelle circostanze. In ognuna Fois la mostra presa dai suoi pensieri, disturbata, inquietata da un disagio che era della sua anima, che vi si era radicato e non l’avrebbe mai abbandonata, sarebbe comparso sempre e ovunque. Molto originale riesce Fois perché dà corpo a quel malessere, gli fa assumere una figura, gli procura una voce, quella della madre della Deledda, che nella prima delle tre parti della rappresentazione sarà una presenza vera, concreta, nelle altre una presenza immaginaria, astratta. Tra le due donne ci sarà uno scambio sempre concitato, sempre avranno da dirsi, la madre avrà sempre da rimproverare, la figlia sempre da lamentarsi. La prima l’accuserà di essere stata fin da bambina capricciosa e testarda poiché suoi unici pensieri, sua unica occupazione era stata quella della lettura e poi della scrittura, la seconda attribuirà a lei e agli altri della famiglia, padre e fratelli, la colpa di non aver mai voluto riconoscere che la lettura e la scrittura erano bisogni del suo spirito, di non averle mai considerate come sue qualitàfino a procurarle uno stato di perenne insoddisfazione ed inquietudine. Da questa situazione si era vista costretta a lasciare Nuoro, la casa, la famiglia e a trasferirsi a Roma col marito. Di essa ancora discutono le due donne in quella lontana sera del 1900 mentre Grazia e il marito aspettano la macchina o la diligenza che li porterà al porto di Nuoro da dove s’imbarcheranno.
Ma se in quella circostanza la madre è presente, nelle altre due, a Stoccolma nel 1926 e a Roma nel 1935, non ci sarà perché lontana o morta. Tuttavia la sua voce si sentirà, l’alterco con la figlia continuerà a riprova che questa non era mai riuscita a liberarsi dei problemi sofferti a casa da quando era bambina, da quando aveva cominciato con la lettura dei famosi scrittori russi e francesi che tanto l’appassionavano.
Neanche al momento del Nobel penserà che da casa le possano venire riconosciuti dei meriti particolari, neanche al momento della morte annunciata lo crederà possibile e la conferma le verrà da quella voce, ora immaginaria, della madre che non perderà quell’eterno tono accusatorio e che per la Deledda aveva rappresentato un problema tanto grave da non essersene mai liberata, da sentirla sempre, anche quando la madre non c’era.
Aveva anche determinato la sua attività letteraria, l’aveva mossa a scrivere di tante situazioni perennemente ingiuste, di tante sopraffazioni rimaste senza soluzione, le aveva fatto cercare anche in arte quell’evasione che, come nella vita, non avrebbe mai trovato.
Molto ha fatto Fois col suo lavoro: determinante è stata la sua testimonianza.Dalla Deledda figlia, moglie, madre ha fatto emergere la Deledda scrittrice, ha procurato argomenti importanti per un’interpretazione più completa del suo caso.

Antonio Stanca