di Antonio Stanca –

Robin Sharma è nato a Toronto nel 1965, è stato professore di Diritto, poi avvocato ed infine ha lasciato queste attività per dedicarsi allo studio dei metodi, dei modi che servono per stare meglio, per vivere una vita migliore, per dedicarsi con maggiore facilità al proprio lavoro, per svolgere bene funzioni dirigenti.

In questo campo ha ottenuto successi sorprendenti, attualmente è considerato uno dei cinque migliori esperti di leadership nel mondo, ha fondato la “Sharma Leadership International Inc.”, una società che opera a livello mondiale e che con i suoi servizi rappresenta un punto di riferimento importante per chi ha intenzione di realizzarsi a livello personale e professionale, di sviluppare, potenziare le proprie capacità.

Per far conoscere le sue scoperte, per promuovere i suoi messaggi Sharma viaggia in continuazione tenendo conferenze e dibattiti presso università e altri centri di studio e di lavoro. Scrive su questi argomenti e molto letti sono i suoi libri, molto tradotti. Chiari sono nell’esposizione e coinvolgenti come romanzi. Nel 2017 è comparsa, ad opera della casa editrice TEA di Milano, la sedicesima ristampa de Il monaco che vendette la sua Ferrari, il libro più noto dello Sharma. La traduzione è di Anna Sudano. Lo aveva scritto nel 2007 e, naturalmente, i temi erano stati quelli propri della sua narrativa, quelli, cioè, che riflettevano i suoi discorsi, il suo lavoro di operatore sociale, di promotore di tecniche per lo sviluppo personale e la gestione della vita.

L’opera è costituita da un lungo interminabile dialogo che l’autore immagina avvenga tra Julian Mantle, avvocato americano di grido, e il più giovane suo collega John.

Julian, dopo un infarto causatogli dall’eccessivo lavoro che svolgeva per adempiere ad impegni che erano diventati sempre più numerosi essendo egli ormai il migliore avvocato delle sue parti, aveva deciso di smettere con la sua professione, di vendere tutti i suoi beni, compresa la “sua Ferrari”, e di partire per l’India, il paese dei tanti misteri, delle tante leggende e soprattutto dell’alta spiritualità, quella che si è tramandata per secoli e che ancora oggi è sentita e vissuta dal suo popolo.

Racconterà, quindi, a John, che lo interromperà soltanto per porgergli alcune domande e ottenere delle spiegazioni migliori, di questo suo viaggio, dell’incontro che farà con i Saggi di Sivana, la mitica regione indiana ai piedi dei monti dell’Himalaya, e col loro capo Yogin Raman. Anche lui era stato un noto avvocato ed anche lui aveva abbandonato la sua carriera per dedicarsi ad una vita soltanto mistica che gli aveva consentito di rinnovarsi nel corpo e nella mente, di recuperare quell’energia, quello spirito che credeva di aver smarrito e di vivere meglio perché più semplicemente, più facilmente, in modo più adatto alle richieste dell’anima. Aveva rifiutato, quindi, la vita materiale per dedicarsi completamente a quella spirituale e profonde erano le verità che così aveva scoperto, numerose le conquiste che aveva fatto proprie e che oratrasmetteva a Mantle, che di quelle verità, di quelle conquiste gli aveva detto di averebisogno. Gliele trasmetteva perché anche questo era un compito che la nuova vita chiedeva fosse svolto e che a sua volta Mantle svolgerà quando, rientrato dall’India, incontrerà John. Sarà John il suo primo discepolo e del loro dialogo sarà espressione il libro dello Sharma.

Mantle dirà a John che quanto ha appreso presso la comunità dei Saggi di Sivana e in particolare dal loro capo Raman è servito a farlo stare meglioperché erano quelle verità interiori che egli, preso dai suoi impegni, aveva sempre trascurato. Da Raman aveva imparato come controllare, disciplinare i propri pensieri, la propria mente, come disporla nel modo migliore frenando gli eccessi, come scoprire le risorse che giacciono in ognuno di noi e farne la forza dello spirito contro l’assalto della materia, come qualsiasi esperienza, anche la più negativa, puòfar ottenere un miglioramento. Aveva pure imparato che si doveva ridurre, eliminare il peso del passato perché impedisce lo svolgimento del presente, che si dovevano aiutare gli altri senza alcun calcolo ma disinteressatamente ed infine aveva imparato che per raggiungere questi obiettivi era necessaria una pratica, un esercizio continuo che consisteva nella meditazione, nella riflessione. Era questa che, più di ogni altro mezzo, aiutava a capire che in ognuno di noi si trovano quelle potenzialità che servono per diventare migliori e che sarebbero rimaste nascoste, inutilizzate se non ci si fosse soffermati a scoprirle, valutarle, usarle. Sono quelle che fanno ottenere e praticarecerti obiettivi. Tutto sarebbe stato diverso una volta raggiunti tali traguardi. Si sarebbe vissuti meglio con se stessi e con gli altri. Non ci sarebbero più state l’ansia, la tensione, la competizione, la rivalità che generalmente guastano la vita dei tempi moderni. Ad una totale trasformazione dell’individuo, della società, del mondo si sarebbe assistito e per questo chiunque avesse aderito, si fosse formato a quelle verità aveva l’obbligo di diffonderle, di predicarle come stava facendo lui, Mantle. Una nuova religione dovevano esse diventare, una nuova vita, una nuova umanità dovevano promuovere, un’umanità nella quale ogni asperità sarebbe stata rimossa in nome di un bene che non sarebbe mai finito perché sentito, voluto come esigenza dello spirito di tutti.

Antonio Stanca