di Antonio Stanca –

È da molto tempo, da anni che negli ambienti culturali italiani si parla, si discute delle condizioni della nostra lingua, di quella moderna, contemporanea. Ci si lamenta per come, per quanto risulti ormai guastata, alterata dall’inserimento, dall’introduzione, dall’invasione di nuovi vocaboli, nuovi modi espressivi non solo stranieri, in particolare inglesi, ma anche italiani. Si tratta di libertà linguistiche che se nel primo caso, parole straniere, si spiegano con il linguaggio che ormai corre, si è diffuso tramite i moderni mezzi di comunicazione, web sopra tutti, nel secondo vanno attribuite ad alterazioni volontarie dell’italiano compiute dalle nuove generazioni di scrittori, giornalisti, cronisti, presentatori televisivi o altro. Non fanno parte queste parole, queste espressioni del processo di rinnovamento, dell’evoluzione, del cammino che ogni lingua è chiamata a compiere, non sono la sua crescita, il suo procedere, non la rinnovano, la rovinano poiché irregolari, abusive, scorrette sono in quasi tutti i loro casi. E ancora più grave è che si sia adattato tanto ad esse chi ascolta o legge da crederle delle novità necessarie, dovute.

Il fenomeno dura da anni, col tempo si è andato diffondendo, aggravando, fa parlare ormai di quella italiana moderna come di una lingua “impura” senza che si intraveda la possibilità di un qualche rimedio, di una qualche operazione atta se non a risolverlo almeno a contenerlo. Gli ambienti di studio, le scuole di ogni ordine e grado, dovrebbero assumersi questo compito. Intervenendo presso i giovani che si stanno istruendo, formando anche nell’uso della lingua, insegnando loro quella corretta si potrebbe sperare in un rifiuto, una negazione della diffusa “impurità”, un recupero di quanto perduto, un ritorno all’ordine. Nessun segnale, però, compare in questo senso, nessun proposito, nessun programma viene formulato anche perché a rilevare il fatto è una minoranza di persone colte, di ambienti distinti, mentre per il resto non ci si è nemmeno accorti oppure lo si ritiene un segno dei tempi, lo si scambia per rinnovamento. Anche da parte di chi, persone, mezzi di comunicazione, sta all’origine del problema, ne è la causa, ci si rende conto che si tratta di un guasto, di un’“impurità” e si continua in questo senso, lo si cerca perché altri effetti, altre approvazioni si ottengano. Una gara volta a fare dell’“impurità linguistica” un traguardo, un risultato si è ormai instaurata, un’azione sovversiva nei riguardi di una lingua così ben costituita. E pensare che quando l’italiano si stava formando, ai tempi di Dante e ancor prima, quando si stava liberando di quanto vi era ancora di latino o di altre lingue comprese quelle dialettali, chiunque volesse farsi sentire in ambito culturale, qualunque fosse il suo luogo di provenienza, il suo ambiente, la sua finalità, si mostrava impegnato a parlare o scrivere in una lingua che risultasse quanto mai ordinata, pulita dai residui di precedenti linguaggi. Si voleva apportare il proprio contributo ad una lingua che stava nascendo e lo si voleva adatto a questa, cioè corretto, preciso, in regola. Ogni autore, fosse maggiore o minore, voleva che il suo discorso o la sua scrittura valesse per un fine così alto come quello di una lingua nuova. Ora che questa si è formata, definita attraverso i secoli, ora che avrebbe bisogno di arricchirsi, di riflettere i tempi nuovi, la si sta guastando. Arbitrarie sono le creazioni alle quali si sta assistendo, sempre errori rimarranno, sempre causa di confusione saranno. Sembra un’assurdità: c’è stato chi ha saputo fare pur disponendo di pochi mezzi e chi di mezzi ne ha tanti da perdere di vista il fine!

Antonio Stanca