Mompracem vivrà
 il canto di un bimbo si alzerà
la barca nel vento guiderà
a Mompracen la libertà

Mompracen vivrà
il cuore più forte batterà
la luce negli occhi brillerà
a Mompracem”

(“Mompracen vivrà  – Sandokan” – Oliver Onions)

 

Se ci fosse un Oscar della musica italiana, un premio unanimemente riconosciuto come il più importante, non avrei dubbi: bisognerebbe assegnarlo agli Oliver Onions. Hold on please, facciamo un passo indietro.
Un giorno, nella mia ricerca di storie horror e noir, essendo un lettore onnivoro di questo genere di narrativa, mi imbatto in uno scrittore ancora inesplorato: George Oliver Onions. (1873 – 1961). Il libro è “Storie di fantasmi”, edito da Einaudi (1993).  L’incontro avviene in un mercatino dei libri usati e subito la folgorazione! È un attimo. Da Oliver Onions a Bud Spencer e Terence Hill e a Sandokan. Perché questo, mi sovviene, è il nome mutuato dai fratelli De Angelis per il loro gruppo. Non mi ricordavo i nomi di battesimo né la loro età, ero sicuro non fossero dei giovincelli. Quindi sono andato a cercare su santa Wikipedia degli internauti notizie su di loro.
Effettivamente, Guido e Maurizio De Angelis hanno passato la settantina ma il loro ricordo rimane indelebile presso un pubblico che, se è ristretto, lo è solo con riferimento al loro nome ma non certo alle loro musiche.
“Continuavano a chiamarlo Trinità”, “Più forte ragazzi”, “Anche gli angeli mangiano fagioli”, “Piedone lo sbirro”, “Altrimenti ci arrabbiamo”, “Il corsaro nero”, “Charleston”: pietre miliari nella storia del cinema e della televisione, solo che non tutti riescono ad “incollare” alla musica il nome degli autori.
Loro è la colonna sonora del telefilm “Zorro”, la prima serie televisiva Disney degli anni Cinquanta, trasmessa poi anche in Italia, con protagonista Guy Williams nei panni di Don Diego de la Vega/Zorro.
Loro è la colonna sonora del telefilm degli anni Settanta “Orzowei”, e qui gli argini della memoria non riescono più a contenere la piena e cedono irreparabilmente al tracimare del fiume della nostalgia. “Orzowei” era un telefilm tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Manzi, proprio il famoso maestro di “Non è mai troppo tardi”, trasmissione che negli anni Sessanta recupera moltissimi italiani dall’analfabetismo ancora poderoso soprattutto nel Sud. Orzowei era la storia di un ragazzo orfano che viveva nella foresta in mezzo a guerre sanguinose fra tribù rivali. Una storia violenta, ricordo, per la mia sensibilità di allora, quella di un bambino di 10 anni. Si trattava sostanzialmente di una storia di iniziazione del ragazzo alla vita adulta e all’entrata in società, complicata però dal fatto che Orzowei fosse di pelle bianca e dal rischio di essere ucciso in qualcuna delle dure prove che doveva sostenere. Ambientato nel SudAfrica fra le tribù dei Bantù, il libro mi introduceva a certe tematiche, quelle etniche, antropologiche, che fino ad allora mi erano estranee. E l’impressione prodotta dalla violenza della tribù di Swazi, cioè i negri di Bantù, che perseguitavano Orzowei, fu così durevole che io scrissi una specie di ingenua prosetta, che fu il mio primo pezzo creativo in assoluto.
Questo libro era uno dei pochi che campeggiavano in casa in quegli anni. Non essendo infatti, la mia, una famiglia di intellettuali o professionisti, io non disponevo certo di una vasta biblioteca. Erano più che altro i regali di nonni e zii nelle disparate occasioni di compleanni, comunioni e cresime, che contribuivano a rimpolparla.
Così conservo ancora gelosamente, lasciti della memoria, grossi tomi, sebbene usurati, quali “La natura e le sue meraviglie” edito dalla Walt Disney, “Robinson Crusoe”, “Remì senza famiglia”, “Il principe e il povero”, “Zanna bianca”, illustrati, tutti della Fabbri Editore, “L’universo intorno a noi” di Donald Menzel e “Il mare” di Robert Miller entrambi della Garzanti, i Racconti e fiabe della serie “I Quindici”, la Bibbia illustrata delle Edizioni Paoline.
Ma ecco le associazioni di idee mi portano sempre lontano dal tema che ho scelto di trattare e io volentieri lascio il premio “digressione” ai saggisti della “Mimesis” o di “Stampa alternativa”.
Tornando agli Oliver Onions, che affermano di avere scelto questo nome perché si pronunciava come scritto, e dunque facile da memorizzare, pensiamo ancora a “Buldozer”, “Piedone a Hong Kong”, “Piedone l’africano”, “I due superpiedi quasi piatti”, “Piedone l’egiziano”, “Uno sceriffo extra terreste, poco extra molto terrestre”, ecc. , troppi, per poterli elencare tutti. Spaziavano fra i generi, dalla commedia all’italiana, al poliziesco, all’erotico, allo storico. E  poi, le colonne sonore televisive: “Sandokan”, “Zorro”, “Spazio 1999” , alcuni fra i telefilm che ho amato di più nella mia vita,  e poi le sigle di cartoni animati, come “Galaxy Express 999,” “Le avventure di Marco Polo”, “Il Gatto Doraemon,” “Rocky Joe “(col nome Gli Amici di Rocky Joe), “D’Artacan”, “Ruy, il piccolo Cid”, “Il giro del mondo di Willy Fog”. Ripercorrere la carriera dei fratelli de Angelis è un viaggio affascinante e suggestivo fra quelle musiche sedimentate nella memoria.

PAOLO VINCENTI