di Antonio Stanca –

Si chiama David Mitchell, è nato a Southpost, Inghilterra, nel 1969, ha studiato alla HawleyCastle High School, si è laureato in Letteratura inglese e americana all’Università del Kent. È vissuto per qualche anno in Sicilia, poi in Giappone, a Hiroshima, dove ha insegnato inglese per molto tempo. Dopo un rientro in Inghilterra è tornato in Giappone ed infine si è stabilito a Clonakilty, Irlanda. Qui si è dedicato esclusivamente alla scrittura.

Autore di romanzi e racconti, ha scritto pure libretti di opere. Molti premi gli sono valsi i romanzi fin dal primo, Nove gradi di libertà del 1993. Dal terzo, L’Atlante delle nuvole, sarebbe stato tratto un film. Anche per un romanzo storico, I mille autunni di Jacob de Zoet, si sarebbe impegnato. In molti sensi ha voluto esprimersi nei sette romanzi che finora ha scritto e che gli hanno procurato una notorietà tale da essere considerato uno dei maggiori scrittori inglesi contemporanei, una delle cento persone più influenti nel mondo. Tre dei suoi lavori sono rientrati tra i finalisti del Booker Prize.

L’ultimo romanzo, I custodi di Slade House, risale al 2015 e, dopo essere stato pubblicato in Italia l’anno successivo, è ricomparso quest’anno per conto della Pickwick, Frassinelli. È un’opera carica di misteri, di mancate spiegazioni, di sorprese, di meraviglie, di magie, di tutto quanto fa parte di quella vita detta paranormale perché propria della telepatia, della chiaroveggenza, dello spiritismo. E’ una dimensione che va oltre quella umana, che è semidivina come dicono alcuni dei protagonisti dell’opera.

Mitchell non si può ricondurre ad un solo genere narrativo ché tanti sono i temi, i modi che l’autore sperimenta. Potrebbe, però, essere osservato che un posto, una funzione di rilievo assume, nella sua narrativa, la pluralità, la diversità sia dei personaggi sia degli ambienti. A volte sono diversi pure gli autori dai quali immagina prodotte le storie narrate, ognuno scrive la sua che può combinarsi con quella degli altri ma che rimane sempre a dire di sé. Si potrebbe pensare che tra tanta varietà Mitchell abbia creduto di far rientrare anche la vita medianica, spiritica mostrandola come possibile, come vera. Ne I custodi di Slade House non si dubita mai di quanto avviene pur essendo fenomeni soltanto immaginari. Slade House è una grande casa che compare e scompare, compare ogni nove anni e vi si entra  da una porticina che quando non serve non si vede, non c’è; i gemelli Jonah e Norah, provenienti da una delle tante famiglie che in passato hanno abitato la casa, sono “i custodi di Slade House”; essi hanno superato i limiti della vita umana nutrendosi dell’anima degli altri, sono diventati immortali perché di essa si alimentano, dell’anima di coloro che ogni nove anni, l’ultimo sabato di ottobre, vengono invitati ad entrare in quella casa collocata in uno dei posti più remoti della città di Londra. I gemelli si nutriranno, nel periodo di tempo rappresentato,dell’anima di un adolescente, poi di un ispettore di polizia, poi diuno studente universitario. Queste persone, una volta entrate nella casa, spariranno senza che si sappia più niente di loro, senza che le ricerche approdino a qualche risultato, a qualche spiegazione. Ad un’opera di fantascienza sembrerà di assistere se in essa non ci si mostrasse sempre convinti che quanto sta succedendo ha le sue ragioni, non è un’invenzione ma una verità anche se nascosta. Il romanzo si popolerà di tante presenze e tutte perderanno i loro connotati reali per assumerne altri, quelli richiesti dalla strana situazione creatasi intorno a Slade House. Non ci si riconoscerà più se non nelle vesti dei “fantasmi” che in quella casa, per quella casa esisteranno, non ci sarà altro sviluppo nell’opera se non nel senso voluto da quella strana vicenda.

Ha voluto Mitchell dare vita anche a chi l’ha persa? Ha voluto mostrare quanto possono fare le forze dello spirito, quanto può esserci, valere oltre i limiti dell’umano? Ha voluto estendere i confini di quella pluralità da lui spesso cercata fino a farvi rientrare anche quanto non c’è, non si vede, non esiste?

A lettura finita si rimane a chiedersi perché lo ha fatto.

Antonio Stanca