Mencarelli, il bene della vita
di Antonio Stanca –
Soprattutto poeta è Daniele Mencarelli. E’ nato a Roma nel 1974 e vive nei dintorni, ad Ariccia. Nel 1997, a ventitré anni, ha esordito in poesia e poi ha continuato con raccolte poetiche su riviste specializzate. Nel 2013 la raccolta La croce è una via è stata trasmessa da Radio Vaticana in occasione del Venerdì Santo. In molte antologie risultano sue poesie. Scrive di cultura e attualità su giornali e riviste e nel 2018, dopo un precedente racconto, ha esordito nella narrativa col romanzo La casa degli sguardi che ha vinto i premi John Fante, Severino Cesari Opera Prima e Volponi. A Marzo di quest’anno l’opera ha avuto un’edizione speciale per conto di Mondadori Libri. Come nella poesia anche nella narrativa Mencarelli rimane nel quotidiano, nell’usuale, si muove tra persone, situazioni comuni e le investe di problemi che vanno oltre, cerca risposte che riguardano l’esistenza, la sua funzione, il suo significato. Filosofica diventa spesso la scrittura di Mencarelli, difficile nei quesiti che si pone.
Ne La casa degli sguardi l’autore dice di un’esperienza realmente vissuta, di quando aveva lavorato presso una cooperativa addetta alle pulizie dell’Ospedale Pediatrico di Roma Bambino Gesù. Era molto giovane, lo aveva fatto per cercare di liberarsi da una dipendenza dall’alcol che si avviava a diventare sempre più grave e pericolosa. Allora aveva pure cominciato a scrivere poesie ma tutto era rimasto allo stato iniziale, non era diventato un chiaro proposito. Disorientato, disordinato viveva e prima nella droga, poi nell’alcol aveva cercato di risolvere i suoi problemi. Disperati erano i genitori, il fratello, la sorella, non sopportavano che consumasse la sua vita in quel modo, che non riuscisse a liberarsi dai vizi. Lui, Daniele, se lo proponeva in continuazione, lo prometteva, era convinto che ci sarebbe riuscito ma inevitabilmente ricadeva. In tale stato il lavoro al Bambino Gesù aveva rappresentato per tutti una speranza, una possibilità di mettere ordine nella sua vita. Anche a lui sembrava così perché ora faceva parte di squadre di pulizie, aveva colleghi, colleghe, si frequentava con loro, doveva rispettare orari, regole, rapporti. Si sentiva animato, incoraggiato dalla nuova situazione, aveva imparato presto a svolgere il suo lavoro, rispettava i turni, amici erano diventati i suoi colleghi, s’intratteneva con loro, la sera a volte uscivano insieme. Nonostante tutto il fine settimana, il sabato libero, era rimasto il giorno del suo vizio. Non ci aveva rinunciato e come prima a gravi condizioni si riduceva, a grossi pericoli si esponeva soprattutto quando guidava. A casa rientrava ridotto male e quei genitori, che tanto avevano creduto nella funzione positiva del lavoro, si erano visti costretti ad arrendersi. Penseranno di ricoverarlo in una comunità perché si disintossicasse, altri progetti nutriranno ma nessuno sarà da lui accettato. Continuerà a dire loro di saper fare anche se mai si profilerà una via d’uscita.
Intanto sta succedendo qualcos’altro al Bambino Gesù: Daniele attende, insieme ai suoi compagni, alla pulizia dei diversi reparti dell’ospedale, quelli che vengono loro assegnati ogni giorno e che cambiano in continuazione. Ha modo, così, di assistere, anche se spesso in maniera occasionale, a casi di bambini gravemente ammalati, al dolore dei loro genitori o di altri parenti. Sono bambini che provengono da tutte le parti del mondo, che hanno diversi colori della pelle, che parlano diverse lingue e che la malattia ha unito e portato in quel posto. I loro casi spesso sono gravi e le immagini che si offrono a Daniele lo sconvolgono al punto da farlo riflettere sui motivi, sulle origini di tanto male, su come si potrebbe evitare, a quale potere, a quale Dio ci si potrebbe rivolgere, a quanta vita si potrebbe ottenere. Era incline a porsi certe domande, a farsi un problema di certe situazioni. Ed ora il contatto diretto con la malattia, il dolore, la morte, lo aveva portato a capire il valore della vita, della salvezza. Verrà da qui quel processo di liberazione dall’alcol che mai era cominciato. Vi contribuiranno pure il pensiero dei compagni di lavoro, la necessità di stare con loro senza che alludessero ai suoi problemi ed infine l’invito del presidente del Bambino Gesù a scrivere una raccolta di poesie riguardo a quel posto, ai suoi degenti. Sarà entusiasta Daniele di un simile incarico, si proporrà un’opera impegnata a far amare la vita, a combattere il pericolo di perderla. Capirà finalmente che è importante, che la si deve proteggere, che è necessario tenerla lontana dalla morte. Capirà che questo è il suo problema, che come per gli altri anche per lui è bene vivere.
Dalle immagini dei bambini ammalati, dal pensiero del rapporto con i compagni di lavoro, dall’incarico per un libro di poesie era venuta la sua salvezza, la sua liberazione, la sua purificazione.
Si conclude il romanzo del Mencarelli con un invito ad amare la vita, a non rinunciare al suo bene.
Antonio Stanca
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