di Antonio Stanca –

L’anno scorso, nella serie “La memoria” della casa editrice Sellerio di Palermo, è comparso il romanzo di Marco Malvaldi e Glay Ghammouri Vento in scatola. Ghammouri è un ex militare tunisino detenuto nel carcere di Pisa e Malvaldi lo ha conosciuto quando qui ha tenuto un corso di scrittura. Dall’incontro, dalla collaborazione che si è avviata tra loro è venuto questo romanzo che va ad aggiungersi ai tanti dello scrittore pisano. 

Malvaldi ha quarantasei anni, è ricercatore presso l’Università di Pisa e dal 2007, quando aveva trentatré anni, ha cominciato a scrivere. Ha esordito col romanzo La briscola in cinque, primo della serie “i delitti del BarLume”, che si sarebbe composta di sei romanzi di genere poliziesco. La lingua sarebbe stata un’abile combinazione tra italiano e dialetto toscano mentre l’umorismo sarebbe intervenuto a mitigare situazioni che potevano diventare allarmanti. La serie sarebbe stata trasmessa in televisione e l’autore avrebbe ottenuto notevoli riconoscimenti. Altri ne avrebbe avuti in seguito per altri romanzi che come i primi sarebbero stati, al loro genere sarebbero appartenuti, la loro lingua, il loro umorismo avrebbero continuato. Così in quest’ultimo che Malvaldi ha scritto insieme a Ghammouri. Nell’opera si dice di come si vive, di cosa succede in un carcere della Toscana. Tranne il giovane africano Salim, che si trova condannato per un reato che non ha commesso e per il quale l’esperienza del carcere rientra tra le altre della sua formazione, nel romanzo non ci sono dei veri e propri protagonisti ché tutti, detenuti e personale del penitenziario, vivono un rapporto di scambio, di comunicazione, di collaborazione, formano una collettività, una comunità come in ogni altro luogo pubblico anche se non mancano le cospirazioni, le cattive associazioni, le clandestinità. 

Riescono Malvaldi e il suo compagno di strada a mostrare che anche in carcere si può stare bene, che anche questo ambiente può essere composto dei modi di fare di ogni altra vita, che anche qui c’è posto per l’amore, la virtù, la bontà, per quei sentimenti che sono propri dell’uomo e che tali rimangono anche quando colpevole è diventato, anche quando dietro le sbarre, dentro le celle è stato portato. Niente può fermare, annullare le sue passioni, le sue emozioni. Simile al “vento” che spira libero e forte sono queste ed anche in una “scatola” possono farlo. Non rinuncerà mai quell’uomo a muoversi, a pensare, a fare, a sentire, a manifestarsi. Lo farà anche in carcere, anche qui avverrà di tutto perché di tutto si vivrà. Tra tanto movimento si troverà coinvolto Salim, tra tante persone, tra “guardie e ladri”, tra approvazioni, ammirazioni ma anche tra sospetti, insinuazioni, macchinazioni, fallimenti, tra amici e nemici. Intorno a lui gli scrittori hanno saputo costruire una situazione che si andrà sempre più estendendo fino a comprendere tanto e ad esplodere.

Una dimostrazione vuole essere questo romanzo di cosa si pensa, si fa in un carcere, di come non lo si debba considerare un luogo completamente diverso dagli altri della vita poiché non hanno perso i carcerati quanto fa parte della loro persona, della loro anima, sono ancora composti di tutto e come tali si comportano. 

Generalmente è verso il bene che tende a volgere la loro situazione ma non è escluso che il male possa continuare: ogni “vento” ha la sua via anche se in una “scatola”!

Antonio Stanca