di Marcello Buttazzo

Venerdì 3 gennaio al Fondo Verri, Maria Pia Romano ha presentato, in anteprima, la sua ultima raccolta di poesie “Geografie minime”, pubblicata da Il Grillo Editore. Dopo le ultime e ripetute brillanti esperienze di narratrice, di romanziera, apprezzata e pluripremiata, Maria Pia Romano è tornata alla casa madre della poesia. Lei, “devota alla maestra poesia”, direbbe Alda Merini.

La serata al Fondo Verri, casa di elezione per gli autori, s’è svolta placidamente, soavemente. L’Autrice ha dialogato con Mauro Marino e, assieme, hanno declamato versi dalla nuova silloge. Personalmente, avevo già conosciuto l’arte poetica di Maria Pia, indugiando piacevolmente su altre raccolte degli anni precedenti: “L’estraneo”, “Il funambolo sull’erba blu”, “La settima stella”. Mi ha sempre significativamente affascinato la sua propensione a incedere e procedere con fare pulito, essenziale, ma ricco di immagini, attento ai paesaggi e alle evocazioni e alle brezze marine.
Ho letto d’un soffio anche “Geografie minime”, che scorre come un flumen, con un continuum narrativo. Nei versi della poetessa s’avverte il tempo che passa. Il tempo è un fanciullo e, come la risacca, riporta a noi spazi immoti e figure reali.

Un protagonista incontrastato è il mare, con le sue voci, i suoi venti, con la sua storia, con il suo azzurro di sogno. “Col mare di lato/ sembra meno aspro/ il deserto accartocciato/ di collere inespresse/ che mi porto dentro/”. Il mare è una madre accogliente, che dà ricettacolo terminale a tutte le speranze, alle attese.
Quella di Maria Pia è poesia esistenziale, perché c’è la consapevolezza del proprio sé e dei propri limiti, della fragilità. La gioia e il dolore sono stati e vengono traversati a piene mani dall’Autrice, che ha avuto il tempo di analizzare, di scomporre e di ricomporre i vissuti in un adamantino caleidoscopio d’anima. C’è un travaglio ricorrente che fa capolino fra le pagine: “Sono madre mancata di figli immaginati”.

Maria Pia Romano è accogliente per sua indole, per postura, sa entrare in contatto con l’altro da sé con riconosciuta attenzione. Lei è madre di numerose Opere, che sono i suoi pargoli che scalciano, piangono e ridono, disvelando l’anima nuda d’una eccellente, straordinaria poetessa e donna amorevole. Lei, amica, non mi ha mai fatto mancare la sua parola rassicurante, che è baluardo di morbidezza. La sua è poesia d’amore, efficace ed interessante. Lei sa declinare l’alterna e incerta vicenda umana con profondità d’essenza, con capacità di esploratrice di anima. La sua anima popolata di un universo multipolare. Con la nostra anima che, inevitabilmente, è in rapporto con lei. Poesia d’amore, marezzata talvolta di venule di melanconia. Epperò, non si tratta d’un porto triste e muto, ma d’una malinconia propositiva, che ci fa respirare il gusto dei giorni, che devono ancora venire. E le future stagioni cui approdare con le vele mosse di caldo vento. C’è un cammino compiuto talvolta con i ginocchi piagati e con lo sguardo fiero; c’è un percorso ancora da compiere per sfogliare, desti, l’infinito libro della vita.
La sua è poesia della Natura, che è benigna e avvolgente e protettiva, e ci sa dare la meritata carezza. Poesia del ricordo. Commovente è il passaggio che rammemora la figura della nonna sognata, “che impasta polpette e cuoce cantando”. Poesia del sogno. I sogni sono fanciulle con i capelli di grano. In “Geografie minime” viene celebrata con dolcezza, più che mai, la terra del Sud. Il Salento, Otranto, Gallipoli, luogo dell’anima. Ed ancora Santa Maria al Bagno, Santa Caterina. L’Appenino, luogo d’origine, Ruvo di Puglia. A volte, penso al sussulto di cuore della poetessa, quando canta: “Eppure sto qui, a vedervi invecchiare, insieme al figlio che non è mai nato”. Vorrei dire a Maria Pia: quel figlio è nato, sei tu. Tu sei figlia e madre della tua luminosa poesia. C’è un sentimento settembrino che campeggia con la risacca, che sa inventare giochi innocenti di musica ondosa. “Geografie minime” è una poesia degli affetti, con versi dedicati al padre e alla madre. Poesia, per certi versi, delle piccole cose. E sempre ritorna inarrestabile il mare come sollievo da ogni evenienza: “La felicità resta un bagno/ fuori stagione/ per i precari dell’anima/”.

Marcello Buttazzo