di Marcello Buttazzo –

Parlare delle opere di Donato Di Poce è un esercizio d’esperanto. Per quanto mi riguarda, ciò vale soprattutto per la sua poesia. I suoi versi seguono vari registri: sono d’amore, introspettivi, caustici, di denuncia, d’impegno e d’impeto civile. Sono versi universali, che arrivano al cuore e alla mente del lettore, perché non sono mai ripiegati sull’Ego dell’autore, ma su una contemplazione lirica del proprio sé e del mondo dell’esperienza. Donato Di Poce, oltre ad essere Poeta, Scrittore di Poesismi, Fotografo, Studioso del Rinascimento e dell’Arte Contemporanea, Artista poliedrico, innovativo ed ironico, è anche Critico d’Arte. Di recente, per i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno ha pubblicato il libro “Street Art Vandali o Artisti?”. La Street Art, nata come fenomeno di controcultura negli anni ’70 nelle metropoli americane, ha conosciuto negli ultimi decenni un’evoluzione straordinaria, affermandosi come una forma d’arte a sé stante e conquistando la ribalta internazionale. L’eterogeneità di tecniche e linguaggi rappresenta uno dei tratti distintivi della Street Art. Non dimentichiamo che Donato, per l’innanzi, è un poeta. E con il microscopio elettronico del poeta lui scandaglia a fondo anche le pieghe dell’arte, riesce a decodificare la materia. Di Poce fa una distinzione sostanziale fra guardare e vedere. Vedere non è guardare. Guardare è semplice, vedere è più complesso. “Vedere significa guardare con più attenzione, lasciarsi guardare dall’oggetto della nostra visione, compenetrarsi, riconoscersi, lasciarsi coinvolgere emotivamente e creativamente, attivando tutte le sinapsi della nostra sensibilità e il nostro immaginario, unendo memoria visiva e desiderio di visione. Vedere significa guardare più a fondo, più lontano, più in profondità, più intensamente sino a vedersi guardare”, scrive Di Poce. Per un artista, tra le altre cose fotografo, come Di Poce, è fondamentale e prioritario lasciarsi investire dal flusso di energia che emana la vita, la strada, respirando il sapore delle cose del mondo, le ombre, le tracce di umanità delle persone, i sogni strappati sui muri delle città, i segni dipinti sui silos, e le fabbriche abbandonate delle nostre città. In “Street Art Vandali o Artisti?”, Donato segue un metodo d’indagine saggistico e poetico, molto divulgativo. Ci offre un viaggio nel mondo e fra gli artisti della Street Art davvero completo. Questi artisti comunicano con il pubblico tramite graffiti, murales, stencil, sticker art, installazioni e performance. Ed altro ancora. I temi trattati sono multipolari: vanno dalla critica politica e sociale alla denuncia delle ingiustizie e delle disparità, fino all’esaltazione della bellezza e della cultura locale. Donato ci ricorda che la Street Art ha ormai oltrepassato i confini delle metropoli, approdando in quartieri residenziali, in gallerie d’arte, in musei. Ci rammenta Donato che la Street Art sa dialogare compiutamente con lo spazio urbano, riuscendo a riqualificare aree degradate, donando nuova vita a spazi anonimi e creando un senso d’appartenenza alla comunità. Il libro “Street Art Vandali o Artisti? si apre con una splendida poesia “I taccuini di Basquiat”. “Quando i poeti cancellano/Gli ultimi silenzi della notte/Le mani di un ragazzo/Scarabocchiano versi sui muri delle città”, canta Di Poce. E ancora: “VIETATO VIETARE!/Scrivono invece/Le rondini metropolitane/E disegnano sui muri/I loro sogni colorati”. L’arte è come la vita, è come la poesia: esige gradienti di libertà. E davvero liberi sono gli artisti che lasciano impronte di libertà sui vagoni dei treni, nelle stazioni dei treni, nei centri sociali, “sognando solo d’avere un futuro”. Liberi e intimamente umani sono gli artisti che cercano fra i rifiuti e gli scarti “il delirio del mondo”. A partire dal 2000, in Europa, soprattutto in Spagna, Italia, Inghilterra, Germania, la Street Art ha un’evoluzione: numerosi artisti (fotografi, poeti, writers) si dedicano maggiormente alla comunicazione di massa, cercando di coinvolgere il pubblico. “Street Art Vandali o Artisti?” scorre in modo didascalico, comprensibile. Da studioso del Rinascimento, Di Poce fa notare come il più famoso e aureo periodo storico dell’Arte nel mondo abbia influenzato anche artisti moderni come Jorit e TvBoy. Nel libro, appiano riscontri dettagliati sui graffiti di Bansky e sulle sue forme di protesta visiva, sulla sua irriverenza contro il potere, contro il conformismo, contro le guerre, contro il consumismo. Uno spazio nel libro è dedicato a TvBoy (il cui nome è Salvatore Benintende), uno degli street artist più apprezzati e popolari in Italia, autore d’una dialettica audace e impegnata, che sa evocare fatti di cronaca, che animano il dibattitto culturale, sociale e politico della comunità. In “Street Art Vandali o Artisti?” si parla, ovviamente, di Jorit, artist partenopeo, autore, tra le altre cose, dei grandi ritratti di Pier Paolo Pasolini, di Ilaria Cucchi, di Che Guevara, di Maradona, di Dostoevskij. Ed anche di Alice Pasquini, nata a Roma nel 1980, considerata tra le più interessanti street artist del pianeta. Ed ancora di Luis Gomez De Teran, conosciuto da Donato Di Poce a Matera. Gomez è anche autore di alcune sculture che narrano di figure sacre, profane, composte di cemento e di plexiglass. La strada è parte integrante della poetica dell’artista. Donato Di Poce ci sprona a vedere la realtà con occhi chiari, ad andare nel fondo del fondo per comprendere e decodificare le cose della vita. Con questo suo nuovo libro ci invoglia, ancora una volta, a seguire la strada del bello, di scovarlo, di raggiungerlo. L’arte e la poesia dovrebbero essere una conquista quotidiana di ciascuno di noi. Donato così scrive: “L’arte e la poesia si nascondono in un Sogno strappato, in una scritta su un muro, un’ombra che ci passa accanto, in un bagliore improvviso e provvisorio che si asciuga al sole dell’anima, nella visione di uno specchio girevole, o in una figura angelica accartocciata fra i rami dopo un naufragio, e persino in un manichino che richiede la tua attenzione o in un ex poeta che parla con una donna disegnata sul muro”.

Marcello Buttazzo