di Antonio Stanca – L’anno scorso è stato ristampato dalla Einaudi, nella sezione Super ET, il romanzo La confraternita dell’uva dello scrittore americano John Fante, nato a Denver, Colorado, nel 1909, e morto a Woodland Hills, California, nel 1983. E’ morto per le gravi conseguenze del diabete, malattia che lo aveva fatto soffrire per molto tempo ma che non gli aveva impedito di scrivere fino alla fine. Sul letto di morte detterà alla moglie le ultime opere.

Fante era nato da padre abruzzese, emigrato in America insieme a tanti altri, italiani e no, che alla fine dell’Ottocento avevano cercato nel Nuovo Continente ilrimedio allo stato di miseria nel quale versavano. La madre era di origine lucana e John era il primo dei quattro figli. La famiglia non aveva mai raggiunto un suo equilibrio, una condizione di serenità, di pace a causa del padre, muratore di ottima qualità ma irrimediabilmente preso dal vizio dell’alcol, del fumo, del gioco, delle donne oltre che dalla collera e dalla violenza. Sciupava tutto quel che guadagnava e molti debiti accumulava.

Fin da ragazzo John aveva aspirato a diventare scrittore, leggeva molto, Dostoevskij era il suo autore preferito. Giovanissimo aveva cominciato a scrivere racconti che spesso si vedeva rifiutati dai giornali o riviste alle quali li inviava. Inseguendo i suoi sogni aveva lasciato la famiglia, il Colorado, per la California, per Los Angeles. Qui agli inizi aveva condotto una vita molto povera e per un certo tempo aveva dovuto badare pure alla madre ed ai fratelli che lo avevano raggiunto dopo che il padre aveva abbandonato la famiglia per seguire un’altra donna. John svolgerà i più diversi mestieri finché il critico letterario Mencken, figura molto nota e molto influente in quel tempo, noterà la sua scrittura e lo incoraggerà a continuare. Farà comparire alcuni suoi racconti su importanti riviste e a Los Angeles, intorno agli anni Trenta, Fante comincerà a scrivere i romanzi che faranno parte della prima fase della sua produzione narrativa. Come i primi racconti saranno di ambientazione familiare, lo scrittore ripercorrerà le vicende della sua famiglia, i gravi disagi che la condotta del padre aveva procurato a tutti, moglie e figli. Arturo Bandini sarà il personaggio nel quale il Fante di questi romanzi si trasferirà per dire della sua vita a casa, del difficile rapporto con il padre e di ogni altro problema vi fosse stato collegato.

Nel 1937 Fante si sposerà con Joyce Smart, ragazza di origine tedesco-irlandese dalla quale avrà quattro figli ed intanto aveva cominciato a lavorare negli ambienti del cinema e della televisione. Sarà autore di molti soggetti e sceneggiature. Attività che avrebbe rallentato quella dello scrittore fino a cancellarla per molto tempo. Dopo Full of life, romanzo del 1952 che è considerato il capolavoro della prima produzione, il Fante scrittore tacerà per un periodo di oltre vent’anni e sarà con La confraternita dell’uva, comparso in maniera definitiva nel 1977, che mostrerà di voler tornare alla scrittura. Vi sarebbe rimasto fino alla morte.

La confraternita dell’uva sarà il capolavoro della seconda fase del Fante scrittore e, si può dire, dell’intera sua produzione giacché molto cambia in quest’opera rispetto a prima. Fante scrive ancora della sua famiglia, della grave situazione sofferta, dei fratelli, della madre, della loro e della sua pena dovuta alla condotta di un padre scorretto, scomposto, irresponsabile, ma ora Fante ha quasi settant’anni, è ammalato e la condizione del suo spirito non è più quella del giovane incline soprattutto a giudicare, condannare, escludere bensì quella dell’uomo maturo che ha fatto posto alla comprensione, alla giustificazione, all’accettazione.

Quel terribile padre, che aveva percorso tanti romanzi del Fante, che tante accuse si era attirato, che nessuna scusa aveva ottenuto, è ora colto in atteggiamenti mossi da tristezza, da malinconia, in situazioni che ne fanno un solitario, un pentito. E’ diventato vecchio quel padre e così il figlio: c’è ora qualcosa che li unisce dopo tanta distanza, qualcosa che occulta il dramma, che ad altri pensieri, ad altri modi fa posto.

Di nuovo una ricostruzione fa lo scrittore in quest’opera di quanto trascorso, di come vissuto, di quel che ha cercato, lo farà tramite il nuovo personaggio, Henry Molise, col quale s’identificherànel secondo ciclo di romanzi e che, a differenza delBandini del primo, è più comprensivo, più tollerante nei riguardi di un padre che tanto male gli aveva fatto. In un atto di perdono, in un omaggio verso la figura paterna si può dire che si risolva l’opera, una dimensione più alta si può dire che raggiunga con essa il Fante chè superata è quella precedente segnata dalla contingenza, dalla quotidianità, dalla realtà di quanto accadeva. Ora Fante è più preso da quel che accade nel suo e nello spirito degli altri: è stato un passaggio importante, una maturazione.

Scrittore davvero Fante è diventato così poiché una misura più ampia, più estesa ha procurato alla sua opera, la misura dell’arte!

Antonio Stanca – 5 agosto 2017