di Antonio Stanca –

Dal 1965 al 1989 lo scrittore inglese Graham Greene aveva cominciato ad annotare i suoi sogni. Lo faceva appena si svegliava su un diario che era diventato molto voluminoso. Da questo aveva poi estratto un certo numero di pagine e di sogni, li aveva divisi per sezioni, ne aveva ricavato un libro ed espresso la volontà che venisse pubblicato dopo la sua morte. Sarebbe avvenuta nel 1991 e l’opera sarebbe stata pubblicata nel 1992 dall’ultima sua compagna, Yvonne Cloetta, col titolo Un Mondo tutto mio (Diario dei sogni). Tradotta da Chiara Rizzuto, è stata ristampata l’anno scorso per conto di Sellerio.

È una lettura facile, gradevole, coinvolge già dall’inizio, incuriosisce, diverte. Dice di sogni: indeterminati, indistinti, a volte incomprensibili sono i sogni eppure veri. Non sono realtà eppure ci sono, valgono, hanno una provenienza, un significato, una finalità. Con una scrittura quanto mai sciolta, spedita Greene dice dei suoi sogni quasi volesse completare con quelli la sua opera di scrittore, la volesse fare comprensiva di tutto quanto era stato suo, della vita concreta e di quella astratta.

Nato a Berkhamsted, Hertfordshire, nel 1904, era morto a Vévey, Svizzera, nel 1991. Aveva ottantasette anni, era stato giornalista, saggista, scrittore, autore di reportage di viaggio, di cinema, di teatro, agente segreto di Sua Maestà Britannica. Molto aveva vissuto, molto aveva viaggiato, molte cose di diverso genere aveva fatto. Una vita senza soste, sempre nuova, sempre diversa era stata la sua.

Dopo gli studi ad Oxford, aveva cominciato a lavorare presso giornali, presso il Ministero degli Esteri. Nel 1926 si era convertito alla religione cristiana e questo avrebbe influenzato molto la sua attività di scrittore. L’esordio nella narrativa era avvenuto col romanzo L’uomo dentro del 1929, nel 1938 aveva scritto L’agente confidenziale, primo romanzo di carattere religioso, nel 1940 Il potere e la gloria, considerata la sua opera migliore, nel 1943 Il ministero della paura, nel 1948 Il nocciolo della questione, nel 1951 La fine dell’avventura, nel 1969 In viaggio con la zia, nel 1971 Una sorta di vita, nel 1973 Il console onorario e molti altri, tra romanzi e racconti, erano seguiti fino agli ultimi anni ’80, fino a poco prima della morte. Alcuni avevano avuto una riduzione cinematografica, altri erano stati scritti per il cinema. Aveva composto pure opere teatrali e scritto libri di viaggio. Anche inviato speciale in paesi occidentali e orientali era stato. Una vita vasta, varia al punto da riuscire difficile capire quando, tra tanto movimento, si applicasse nella scrittura e come riuscisse in un’attività che generalmente richiede isolamento, concentrazione. Vista la mole considerevole della sua produzione letteraria si ha l’impressione che scrivesse ovunque o comunque si trovasse, che molto facile, quasi naturale gli fosse concepire, inventare, argomentare, costruire, scrivere. Una vita avventurosa nella quale la scrittura è stata importante, determinante. Anche se agli inizi era risultato poco convincente col tempo, con una sapiente combinazione tra le influenze della moderna letteratura inglese del brivido, dell’avventura, di quella americana dallo stile “duro” e di quella cattolica francese, le sue narrazioni erano diventate esemplari, avevano avuto larga diffusione, molte traduzioni, molti riconoscimenti. Il motivo ricorrente di una vita sempre insidiata dal male, dell’uomo sempre esposto al pericolo del peccato, sempre diviso tra rovina e salvezza, di un ambiente sempre agitato da violenza, guerre, di una concezione religiosa superiore alle persone, alle loro vicende, avrebbe trovato in Greene modi di rappresentazione, di espressione tra i più diversi, avrebbe raggiunto alti significati umani, morali, spirituali, sarebbe diventato la voce dei tempi, avrebbe fatto di lui uno dei maggiori scrittori contemporanei. Non poteva non sognare uno scrittore simile e i suoi sogni non potevano non riflettere una vita così intensa. Un’autobiografia sembra contenere Un Mondo tutto mio. Tutto di lui ha avuto un riflesso nel sogno. Un riflesso diverso perché liberato dalle regole, dai limiti della realtà, un riflesso fluido, evanescente. Da qui l’attrazione immediata che il libro suscita, il senso d’infinito che trasmette, lo spirito di libertà che diffonde. Di tanto mondo, di tanta vita, di tanta gente dice il Greene che sogna, di tanti luoghi, di tanti avvenimenti, di tanti personaggi. È come un’illuminazione improvvisa l’opera, una visione che dura, una rivelazione resa più preziosa dai tanti segreti che fa conoscere e dei quali rende partecipi. Insieme a chi scrive sembra di stare, nel posto, nel modo, nel momento da lui sognato. Dappertutto nel mondo si va, di una grande favola si entra a far parte ché simile alla favola è il sogno.

Antonio Stanca