di Antonio Stanca –

Alberto Schiavone è nato a Torino nel 1980, nel 2005 si è laureato al DAMS di Bologna e dal 2009, quando pubblicò il primo romanzo, La mischia, inserito su “la Repubblica” tra “I cento nomi dell’anno”, non ha mai smesso di scrivere. Ogni spazio felice, del 2017, ha vinto il Premio Fiesole Narrativa Under 40 ed è stato finalista al Premio Stresa. Al 2019 risale l’ultimo romanzo, Dolcissima abitudine, che da Guanda ha avuto ora una seconda edizione e che come gli altri è impegnato a rappresentare situazioni, problemi della vita attuale, privata e pubblica. Un acuto osservatore, un attento analista di quanto ai tempi moderni e contemporanei avviene in ambito individuale e sociale, può essere considerato Schiavone. Facile, scorrevole, a volte divertente.è il suo modo di scrivere dica egli di piaceri o dolori, conquiste o perdite, meriti o punizioni, felicità o drammi. Sono i contenuti e lo stile anche di quest’ultimo romanzo. Un’esposizione semplice, leggera, libera da vincoli ma capace di attraversare tanto tempo, tanta storia, tanta vita, di stare insieme al bene e al male, alla virtù e al vizio, a tutto quanto di quel tempo, di quella storia, di quella vita ha fattoparte.

Una sola è la protagonista, Rosa, ma le vicende, le persone che passeranno attraverso la sua figura saranno tante da fare della sua la storia di tutti, del suo tempo quello di un’epoca.

Le povere condizioni della famiglia l’avevano avviata verso la prostituzione, così era stato per la nonna e così per la madre ma a differenza di esse Rosa riuscirà a prendere una sua evidenza, a raggiungere una sua posizione pur in seno a certi ambienti, a certe situazioni. La sua bellezza l’aiuterà a valere, a farne parlare, ad essere cercata anche da uomini importanti, ad esercitare un’attrazione che farà allarmare tante mogli, tante famiglie.

Siamo nella Torino degli anni ’50 quando Rosa, appena adolescente, comincia la sua attività. La concluderà nei primi anni 2000 sempre a Torino e sempre bella anche se con qualche ritocco. Ormai è diventata tanto ricca da far invidia alle sue pari di prima, da permettersi tante proprietà, tanti lussi, da poter scegliere tra i suoi clienti, da farne suoi amici o compagni o amanti, da meritare la loro attenzione, il loro rispetto.

Saranno tanti gli uomini che il suo lavoro le farà conoscere. Ognuno avrà la sua storia, Rosa le ascolterà tutte e sarà questo il modo usato dallo Schiavone per far sapere come si è vissuti, cosa si è creduto, si è pensato, si è fatto per tanto tempo, quello della vita di Rosa, quello della seconda metà degli anni ’90 in una città come Torino, in una nazione come l’Italia. L’interprete, la voce di un’epoca farà di Rosa lo scrittore. Un’unica grande storia diventeranno le tante a lei giunte dai suoi uomini, un unico grande paesesaranno le diverse provenienze che di quegli uomini erano stateprima di Torino. In questa vastità da lei ascoltata, appresa, vissuta, rappresentata rientrerà anche la sua di storia, quella che la vuole anche madre di un figlio che non lo sa e che lei segue, spia, osserva con l’affetto, l’amore, l’ansia, la partecipazione proprie di una madre. Non è una storia tra le tante altre che hanno formato la vita di Rosa, è la sua storia, quella che nessuno conosce, della quale nessuno parla, quella che è stata il suo segreto e che ora vuole svelare perché vuole identificare il figlio con quel fine, quello scopo, quel futuro che non era mai riuscita ad intravedere. Non si era mai chiarita perché vivesse in un modo che non aveva scelto, che mancava di una prospettiva, di uno sviluppo. Ci aveva pensato per molto tempo, quando del figlio aveva perso le tracce. Ma ora che l’ha ritrovato ha pure scoperto quanto le era sempre mancato, una famiglia, e ne ha fatto il suo traguardo.

È soprattutto la storia sua quella contenuta nel romanzo, quella che più d’ogni altra vale ad ulteriore riprova delle infinite forme che la vita può assumere e che lo Schiavone intende rappresentare.

Antonio Stanca