di Antonio Stanca –

Presso la casa editrice Feltrinelli di Milano, nella serie Universale Economica, è comparsa di recente la quarantaquattresima edizione del primo romanzo, Kitchen (1988), della scrittrice giapponese Banana Yoshimoto. L’opera contiene pure Moonlight Shadow, cioè il primo racconto della Yoshimoto che è del 1987. La traduzione è di Giorgio Amitrano. Kitchen fu un successo immediato, ebbe trasposizioni cinematografiche, molti premi e molte traduzioni. Con Kitchen la Yoshimoto sarebbe diventata un caso letterario anche se molto altro avrebbe scritto negli anni seguenti e molti altri riconoscimenti avrebbe ottenuto.
Nata a Tokyo nel 1964 in una famiglia di intellettuali, al momento di Kitchen aveva ventiquattro anni e soffriva, come tanti giovani giapponesi, la condizione di solitudine, di mancata comunicazione, di perdita di affetti importanti come quelli della famiglia, della casa, di paura, di smarrimento in una vita dove amarsi era diventato difficile e più facili erano diventate la malattia, la morte.
Era quanto nel Giappone degli anni ’80 travagliava lo spirito, l’animo dei più giovani, era quell’insicurezza, quell’inquietudine venute dopo le conquiste degli anni ’60, che avevano portato alla rivalutazione della figura femminile, della posizione del giovane nel contesto sociale. Quanto allora era cambiato si era appiattito, era stato assorbito dal sistema e si era tornati a sentirsi sospesi tra un passato privo di certezze e un futuro imprevedibile. Di una situazione simile i giovani erano i primi a soffrire, gli scrittori i primi a scrivere. Ci sarebbe riuscita, e molto bene, Banana Yoshimoto che oggi ha cinquantaquattro anni e tanti successi alle spalle. Ha cominciato con Kitchen, dove la storia di due ragazzi, già comparsa in Moonlight Shadow, è diventata un romanzo sapientemente costruito nel quale infinite e mai sicure la scrittrice fa diventare le possibilità di uno scambio, di un rapporto, di un affetto duraturo, di un amore condiviso tra Mikage e Yūichi. Sono due ragazzi rimasti soli al mondo, hanno perso i parenti più lontani e i più vicini e incerti sono circa quanto nella vita potranno fare, come potranno stare. Si cercheranno, staranno insieme, si lasceranno, non giungeranno mai a sapere cosa fare, come stare e merito grande della Yoshimoto è stato quello di essere riuscita a rendere in ogni dettaglio, in ogni risvolto simile condizione dello spirito.
Era quella sua di quando scriveva l’opera ma era anche quella della gioventù giapponese dell’epoca: nella voce di questa generazione si è trasformata la scrittura di Yoshimoto senza, però, rimanere un semplice documento ma raggiungendo significati estesi, superiori ad ogni contingenza, mostrandosi capace di muoversi tra realtà e immaginazione, ragione e visione, di ottenere esiti poetici, lirici di rara bellezza.
Agisce in Yoshimoto la tradizione tipicamente giapponese dei fumetti Manga, le loro storie d’amore, le maniere dei loro personaggi maschili e femminili, agisce pure la più vasta tradizione culturale, letteraria giapponese, quella dei grandi autori del passato ma nuova è lei rispetto a tutto quanto l’ha preceduta ché soprattutto suo è il tempo, il luogo, il motivo, il modo della sua scrittura, soprattutto di sé Yoshimoto vuol dire, in sé vuole che trovino riconoscimento gli altri, tutti.

Antonio Stanca