di Antonio Stanca –

Quest’anno, a Gennaio, è comparso presso Sellerio La compagna Natalia, il primo dei romanzi postumi di Antonia Spaliviero che sono ora in corso di pubblicazione. Nata a Vo’ (Padova) nel 1954 era morta nel 2015. Aveva sessantuno anni, era cresciuta a Settimo Torinese (Torino) e si era dedicata in particolar modo a scrivere per il teatro, a realizzare un “teatro fuori dai teatri”, a farlo nelle scuole, nelle fabbriche, in luoghi diversi dai soliti. Aveva fondato il Laboratorio Teatro Settimo che era diventato un importante centro di preparazione, elaborazione, prova e diffusione dei lavori suoi e di altri registi. Dalla vita muoveva il suo teatro, della vita cercava i significati.

Riguardo alla produzione narrativa non molto si era saputo dal momento che alle pagine di tanti diari, circa trenta, aveva affidato vere e proprie narrazioni anche se in modo poco ordinato. Di queste si stanno attualmente interessando il marito Gabriele Vacis, anche lui autore teatrale, e la figlia Giulietta. Vogliono mettere ordine nella narrativa di Antonia e pubblicarla. Il primo romanzo emerso dal loro lavoro è, appunto, La compagna Natalia. Stava tra i diari di Antonia e dei diari ha la lingua spontanea, il procedimento semplice, colloquiale, fatto a volte di appunti, il tono di confessione. Aveva cominciato a scrivere diari da quando aveva tredici anni ed aveva continuato per molto tempo.

La compagna Natalia è un romanzo-diario condotto in prima persona nel quale la scrittrice si mostra impegnata a dire della sua vita, della sua adolescenza e di quella delle altre ragazze che tanti anni addietro a Settimo Torinese avevano cominciato a frequentare la prima e unica classe di un Istituto Professionale per segretarie d’azienda. La classe era stata collocata nella soffitta di un già esistente Istituto Tecnico Industriale. Era una scuola improvvisata, offriva pochi servizi e, tuttavia, alunni e docenti cercavano i modi migliori per mantenerla. Si era giunti al terzo anno quando lei ed alcune ragazze avevano scelto di continuare col biennio abbreviato e diventare ragioniere. Dalla loro vita la scrittrice risale a quella delle loro famiglie, dei loro ambienti, alla società, alla storia dell’Italia di allora. Arriva agli anni ’67, ’68, quando anche in quella lontana e arretrata periferia torinese giunge il vento della contestazione che ovunque sta spirando e che in nome di principi, valori comuni, collettivi, di ideali di sinistra, comunisti, vuole sovvertire l’ordine costituito. Queste aspirazioni, queste novità, questi cambiamenti che in alcuni casi diventavano vere e proprie rivoluzioni e sfociavano in scontri con le forze dell’ordine, non riguardavano solo le differenze tra classi sociali, condizioni economiche ma anche quelle tra uomini e donne. In nome dell’atmosfera di libertà che si andava diffondendo le donne credevano possibili cose che prima erano state loro negate. Anche per le ragazze di quella scuola professionale stava succedendo così, anche loro intravedevano modi di pensare, di fare più nuovi, più liberi. Originale è stata la scrittrice nel far vedere come era vissuta la contestazione da alcune ragazze di periferia, nel combinare la loro con la storia della compagna Natalia che da poco era arrivata in classe e si era mostrata diversa nel comportamento, più moderna, più vicina a quegli ideali che venivano propagandati dai giornali o altri mezzi di comunicazione. Natalia diventerà amica intima di Antonia, che da lei saprà quanto mai aveva saputo circa l’amore, il sesso e quant’altro era sempre stato ritenuto indecoroso per una ragazza. A differenza delle altre Natalia aveva già un fidanzato, leggeva libri di autori considerati sovversivi, si confrontava facilmente con gli insegnanti, aveva una vita autonoma anche rispetto alla famiglia. Nella classe si sentiva la sua influenza, le compagne cominciavano ad imitarla, gli scambi con i ragazzi del vicino Tecnico Industriale diventavano più frequenti, molte si fidanzavano, sognavano una vita propria. Col tempo, però, accadranno altre cose: Natalia scoprirà di essere incinta e non del suo ragazzo; i rapporti con Antonia s’interromperanno quasi per sempre; anche con  Giampiero, suo primo fidanzato, Antonia si lascerà per mettersi con Fabio; il padre di Natalia ed altri genitori delle ragazze moriranno; anche Giampiero morirà causa la leucemia; l’oratorio che frequentavano in tanti, le assemblee che vi avvenivano e i lavori in aiuto dei poveri che a quei ragazzi erano assegnati perderanno sempre più importanza e valore; Natalia finirà in carcere perché partecipe di un attentato contro un giornalista ed una volta uscita morirà per una ferita riportata durante una rapina; la stava facendo per ricavare il necessario a sostenere il partito; al figlio, cresciuto, sarà detto che la madre era stata vittima delle sue convinzioni politiche. Non solo di sogni ma anche di drammi è fatta la vita: se ne accorgerà Antonia e nelle ultime pagine dell’opera dirà di essere sistematicamente assalita dai ricordi delle persone morte, vicine o lontane. Penserà a come sono vissute, a come sono state da bambine, da giovani, a quanto hanno sognato, a quanto hanno ottenuto, a cosa bisognerebbe fare per vivere meglio, per avere quella vita che a loro non era stata possibile.

Come nel teatro anche nel romanzo la Spaliviero finisce col riflettere sulla vita, col tornare alla vita non solo sua, di Natalia e delle altre compagne, ma di tutte le persone che erano venute prima e di quelle che sarebbero venute dopo. Finisce col pensare alla vita come ad un percorso inevitabile, inesorabile, fatto di bene e male, luci e ombre, vecchio e nuovo, come ad un movimento immenso, semplice e composto, unico e multiplo, capace di comprendere tutto, anche i modi per diventare migliori.

Da circostanze comuni, quotidiane era giunta la scrittrice a concezioni estese, trascendenti ma non le aveva separate dalla vita, dalla storia, le aveva mostrate possibili per un’umanità che le volesse realizzare, per un umanesimo che volesse rifarsi di quanto aveva perduto.

Antonio Stanca