di Antonio Stanca –

Come nel romanzo d’esordio, La prima ora del giorno, uscito nel 2018, anche in questo, Il nido delle cicale, pubblicato l’anno scorso da Giunti, la protagonista è una donna, come allora anche adesso si tratta di una figura travagliata, isolata, presa tra problemi che la rendono inquieta, le complicano la vita, non le permettono di decidere, di agire.

La scrittrice è Anna Martellato, nata a Verona nel 1981 e qui residente. Laureata in Scienze della Comunicazione, ha frequentato la scuola Palomar, scrive su importanti testate giornalistiche ed è una “project generator journalist”, una creatrice, cioè, di progetti per Internet, case editrici, televisione.

Per la Martellato la scrittura è un’attività importante, fondamentale dal momento che permette di indagare nella realtà, nella vita, che fa emergere quanto non ci si aspettava poiché rimasto nascosto, sconosciuto. Scrivere, per lei, significa procedere verso una scoperta che diventa sempre più ampia, ottenere una verità sempre più estesa. Questo succede ne Il nido delle cicale, dove una giovane donna, Mia, si muove tra luoghi e tempi diversi, tra persone e situazioni diverse fino a diventare la vittima di tutto. Vive in Germania, a Stoccarda, con Alessio, architetto affermato e abbastanza noto. Con lui è stata prima a Milano e poi a Ginevra. Convivono da tempo, Mia è tanto presa dalla sua figura, dalle sue idee da seguirlo sempre nei suoi spostamenti, nei suoi propositi di realizzare nuovi progetti in nuovi posti. Ne è molto innamorata e vorrebbe che si sposassero, avessero un figlio ma Alessio non si mostra ancora disposto. Intanto molto tempo rimane lontano da casa poiché impegnato, dice, in missioni, consulenze, convocazioni. Grave sarà per Mia scoprire che trascorre gran parte di quel tempo a Ginevra dove ha una relazione con un’altra donna, Isabelle, dalla quale ha avuto un figlio, Lolo. Lo lascerà senza alcuna esitazione e tornerà in Italia nella casa paterna, una villa sulle rive del lago di Garda. Qui risiede la madre, Vittoria, donna autoritaria, introversa, sempre ostile a Mia e diventata insopportabile da quando era successo “l’incidente” nel quale l’altro figlio, Mattia, era morto annegato alla presenza di Mia. Questa non aveva sopportato le accuse, le persecuzioni della madre ed era andata a vivere con Alessio. Ora, rientrata, si ritroverà esposta alle ostilità di Vittoria. L’unica consolazione le verrà dalla vecchia domestica, Efra, che sempre le era stata vicina. Anche il padre, Sergio, le era stato affezionato ma si era separato dalla madre e ormai viveva lontano.

Nei pressi della villa c’era ancora Luca, col quale Mia aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza, del quale era stata innamorata. Ritrovarsi ora, quando sono diventati maturi, significherà per loro riandare ai vecchi tempi, alla vita trascorsa insieme e pensare di poterla riprendere, continuare. Grazie a Luca, alle loro frequentazioni, a Mia sembrerà di potersi liberare da quanto le gravava addosso da anni, da quanto, dopo la giovinezza, era successo e le aveva fatto perdere quella felicità, quella fiducia nella vita che erano sue proprie. Insieme a Luca crederà di essere tornata agli inizi, si libererà di quei sospetti circa “l’incidente” di Mattia che Vittoria aveva sempre avuto nei suoi riguardi. Insieme a lui ricorderà, ricostruirà l’episodio, scoprirà quanto era rimasto nascosto, perderà ogni senso di colpa. Ricomparirà, però, Alessio, interromperà quel che stava nascendo tra loro, le farà le sue confessioni, le dichiarerà il suo impegno ad esserle sempre fedele, la inviterà a tornare a Stoccarda. Mia non presterà fiducia, si rifiuterà e rimasta sola, senza nessuno intorno, senza rapporti, senza affetti, penserà di mettersi alla ricerca del padre lontano, l’unica persona della quale era sempre stata sicura, dalla quale era sempre stata corrisposta.

Intorno a Mia si è svolta l’intera narrazione, intorno a lei, con lei ci sono state tante storie. Sempre vittima ne è rimasta e dopo molti tentativi tardi, è diventato ormai, perché riesca a rifarsi, a cancellare gli affanni di una vita che molto diversa era risultata da quella che aveva sperato. A trentacinque anni si ritrovava sola, affaticata, tormentata da quanto aveva dovuto vedere, sentire, patire. I suoi erano stati dolori dell’anima, di essi anche il corpo aveva sofferto e nemmeno il ricongiungimento col padre aveva potuto ripagarla.

Un’epoca intera, l’Italia del secondo Novecento, ha fatto scorrere la Martellato mentre diceva di Mia, un esempio ha fatto con lei di come i tempi stessero allora cambiando, di come si stesse finendo di prestare ascolto ai problemi dell’anima perché altri, di altro genere, erano sopraggiunti.

Sicura, ampia, estesa si rivela la scrittura della Martellato di questo romanzo, non ha difficoltà a procedere in una narrazione che si protrae a lungo né a renderla in ogni particolare.

Antonio Stanca