di Antonio Stanca –

Il procuratore della Giudea è un brevissimo racconto di Anatole France. Risale al 1902 e fino agli anni Venti si è segnalato perché ha avuto pubblicazioni sempre isolate, a volte corredate di disegni o immagini. Nel 2017 è comparso l’ultima volta in Italia ancora da solo e con la traduzione di Leonardo Sciascia.  Sellerio era la casa editrice.

France è uno scrittore francese nato a Parigi nel 1844 e morto a Saint-Cyr-sur-Loire nel 1924. È vissuto a lungo, è stato un autore molto prolifico e nel 1921 ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura. Ha cominciato scrivendo saggi e opere di bibliografia. Poi si è impegnato nella poesia entrando a far parte della corrente del Parnaso Contemporaneo. È passato, quindi, alla narrativa dove ha iniziato con racconti e continuato con questi e con romanzi. Così fino agli ultimi suoi tempi. Come scrittore si è mosso in diverse direzioni. Queste si sono alternate con l’attività di giornalista e saggista. Hanno mostrato, qualunque sia stato il loro genere, l’abilità raggiunta dal France nell’espressione linguistica, la sua capacità espositiva, il suo stile liberato da ogni impurità e divenuto attento, composto, raffinato. Tale è stato il suo linguaggio sia che scrivesse dei suoi ricordi, dei tempi della sua infanzia sia che dicesse di antiche leggende medioevali o di costumi di tempi più recenti. Dopo le opere iniziali sono venuti i romanzi di genere filosofico e psicologico, quelli che avrebbero procurato al France una grande notorietà, che lo avrebbero fatto diventare Accademico di Francia (1896). Verrà pure insignito della Legion d’Onore e gli anni dal 1890 al 1910 saranno quelli del suo maggiore successo. Tra l’altro sarebbe stato un assiduo e ammirato frequentatore dei salotti parigini, avrebbe preso parte all’”Affaire Dreyfus”, avrebbe ispirato a Proust il personaggio dello scrittore Bergotte, sarebbe entrato in polemica con altri illustri letterati del momento quali Émile Zola. Un personaggio molto conosciuto sarebbe stato per la sua vita e le sue opere. Ultime sarebbero venute quelle di genere satirico con le quali la sua produzione si sarebbe conclusa

In diversi modi si è fatto conoscere ma sempre attento è stato a dire della vita, a rappresentarla insieme alle sue concezioni, alle sue inclinazioni, alle sue convinzioni. Non ha mai rinunciato al proprio punto di vista e spesso lo ha combinato con l’ironia. Era un modo che gli sembrava utile a farlo rimanere sopra le parti, a fargli superare i gravi contrasti che a volte doveva rappresentare, ad assicurargli una certa immunità.
Insieme all’altro della purezza linguistica sarebbero stati i due aspetti distintivi della sua produzione letteraria, quelli che lo avrebbero collocato tra i grandi della tradizione letteraria francese. Ma come per altri grandi anche per Anatole France le polemiche si sarebbero continuate e aggravate al punto che dopo la morte finita è quasi la sua fama.  

Nel breve racconto suddetto può essere ancora notata la tendenza dello scrittore a cogliere la vita nelle sue diverse espressioni, nelle diverse condizioni di chi la vive. L’opera riguarda un incontro avvenuto al tempo di Roma imperiale tra Ponzio Pilato, “il procuratore della Giudea”, ed Elio Lamia, un suo vecchio amico, conosciuto quando stava in Palestina e prima che gli fosse revocato l’incarico di procuratore e fatto rientrare a Roma. Il Lamia, invece, si trovava lì perché mandato in esilio a causa di sue colpe. Ora, però, era rientrato e i due s’incontrano ai Campi Flegrei. Tra loro inizia una conversazione che costituirà l’intero racconto e attraverso la quale si saprà di tutti gli aspetti, gli ambienti, le situazioni di allora, dei luoghi, delle persone, dei personaggi di quei tempi. Il discorso si sposterà in continuazione tra la Palestina, dove i due erano stati, e Roma, dove erano tornati. Di ogni cosa diranno, dei loro errori, delle loro colpe ma anche dei loro nemici, della rivalità, della cattiveria delle quali sono stati vittime. Parleranno della loro vita di prima e di dopo, delle loro intenzioni per il futuro e di quant’altro era accaduto e accadeva intorno a loro. Molti secoli sono passati da allora ma France si mostra capace di animare, di dare vita a quanto dice, di farlo apparire vicino, immediato. Ha consultato dei documenti, come dichiarato nella seconda parte del libretto, ma non sono stati quelli a rendere vero il racconto, a procurargli movimento, a trasformarlo in un altro dei tanti esempi della capacità dell’autore di fare delle sue opere testimonianze di vita vissuta.

Nel racconto si arriverà alla comparsa di Cristo, se ne parlerà senza molta precisione, senza che si sappia bene chi sia stato, cosa sia successo e questo sarà l’ennesimo elemento che una pur minima narrazione di France si mostrerà capace di saper contenere. C’è in lui un bisogno di vedere, di conoscere, di comprendere la vita, la storia. E’ come se fosse sempre rivolto all’esterno, come se volesse combinarsi con esso. Così l’uomo, così lo scrittore.

Antonio Stanca