di Antonio Stanca

Nel 2018 è morto Amos Oz, aveva settantanove anni ed oltre che scrittore di romanzi, racconti, saggi, libri per ragazzi, era stato un intellettuale impegnato nei problemi del suo paese, Israele, nelle difficili vicende che aveva attraversato, nei rapporti con gli Arabi, nelle guerre. Esponente di spicco del partito laburista Oz spesso era intervenuto pubblicamente o tramite i giornali affinché si perseguisse una soluzione pacifica, democratica dei problemi interni ed esterni ad Israele. Deluso, tuttavia, era molte volte rimasto ché poco o niente di quanto sperato aveva visto realizzarsi. Questo scontento, questa sfiducia aveva ispirato le opere dello scrittore. La sua sarebbe stata una narrativa tesa alla ricerca per gli Ebrei di quel bene comune, collettivo che i nuovi tempi, i nuovi ambienti umani, sociali, avevano messo da parte in nome di un individualismo tanto acceso, tanto perseguito da diventare a volte spietato, crudele.

Nato a Gerusalemme nel 1939, Oz aveva avuto un’infanzia difficile a causa dei problemi tra i genitori, del suicidio della madre e della sua vita nel Kibbutz di Huida da quando aveva quindici anni. Qui sarebbe rimasto per molto tempo, più di trent’anni, sarebbe stato militare, avrebbe preso parte agli scontri armati sostenuti dal suo paese, poi si sarebbe laureato, sposato, avrebbe avuto figli ed avrebbe pure cominciato a scrivere. Molte opere avrebbe scritto prima di uscire dal Kibbutz nel 1986. D’allora era vissuto con la famiglia ad Arad ed aveva insegnato Letteratura all’Università Ben Gurion del Negev. Aveva continuato a scrivere di narrativa, di saggistica, era spesso comparso sui giornali e molti riconoscimenti aveva ottenuto. Israele, i problemi di questa terra, la sua storia dai tempi passati ai più recenti, gli Ebrei, la loro vita quotidiana, le loro condizioni, i pensieri, i sentimenti delle persone comuni, i loro casi, quelli delle loro famiglie saranno i temi ricorrenti nella narrativa di Oz. Non finirà mai lo scrittore di dire del suo popolo, ne farà il segno distintivo della sua intera produzione, gli procurerà il valore di simbolo di una eterna condizione di sofferenza.

Anche nei libri per ragazzi trasparirà questo suo proposito. Era come un riscatto, una rivalutazione della sua gente, a lungo offesa, perseguitata, quella che Oz cercava tramite la scrittura. La voce che declamava il triste destino di una razza voleva essere. E lo farà pure in D’un tratto nel folto del bosco, un romanzo per ragazzi ristampato di recente da Feltrinelli nella “Universale Economica” e tradotto da Elena Loewenthal. L’opera risale al 2005, quando Oz aveva sessantasei anni e di lui si diceva come di un probabile candidato al premio Nobel.

Nel romanzo a soffrire la condizione di esclusi, di isolati sono un ragazzo, Nimi, ed un uomo maturo, Nehi. Entrambi sono diventati vittime del dileggio, dello scherno da parte della gente del posto, un villaggio sperduto tra i monti, ed hanno preferito abbandonare quella comunità e trasferirsi nei boschi. Qui si sono creati una propria casa, una propria vita, hanno mostrato di avere doti, qualità, qui sono stati raggiunti da Mati e Maya, un bambino ed una bambina del villaggio che erano diventati curiosi di conoscere la loro storia. Da loro se la faranno raccontare e meravigliati saranno per averli scoperti capaci di pensieri, sentimenti superiori a quelli generalmente diffusi, per aver saputo che ingiustamente erano stati derisi, offesi, che tanto deboli erano stati da diventare oggetto di pubblico rifiuto. I due ragazzi si proporranno, una volta tornati al villaggio, di dire a tutti della loro scoperta, di impegnarsi affinché Nimi e Nehi rientrassero tra la loro gente e fossero da questa amati e rispettati.

Nei modi delle favole Oz ha tracciato, a grandi linee, la storia del popolo ebreo, ha mostrato l’avversione, la negazione delle quali ha sofferto nonostante i suoi meriti, ha indicato la soluzione del problema in una pace estesa, vissuta in modo collettivo. Come nelle favole ha piegato la scrittura al bene comune, ha perseguito finalità ampie, ha scritto per gli altri!

Antonio Stanca