di Marcello Buttazzo –

Sulla presentazione della raccolta di poesie “Ho abitato la casa del silenzio” di Maria Francesca Giordano, tenutasi lunedì 6 giugno, presso la Biblioteca Bernardini.

La bellezza salverà il mondo? Domanda intricata, forse insolubile, soprattutto in un tempo contemporaneo che mostra le sue crepe e tutto il suo debordante declino. Un’era di confusione, di efferate violenze, di guerre cruente, che santifica giorno e notte i suoi insulsi santuari: il potere soverchiante, la padrona economia. Eppure, in una quotidianità (come questa), che appalesa segni durevoli di disfacimento, siamo più che mai consapevoli che occorra fermarsi un attimo, respirare sorsi d’aria fresca, guardare, magari stando ai margini del mondo, gli occhi chiari e dolci degli uomini, delle donne. Non so davvero se la bellezza potrà salvare il mondo, se medicherà le piaghe sanguinolente, ma sono certo che per vivere un’esistenza piena e decorosa occorra catturare a piene mani i cosiddetti beni immateriali, le minuscole calie della vita, che sono scrigni d’assoluto e infinito splendore. In una società opulenta, che mercifica ogni cosa secondo la logica deteriore dell’usa e getta, saper vezzeggiare beni non consumistici, come l’amicizia, la condivisione, la compartecipazione, l’affettuosità, l’amore, il dono, è un esercizio d’esperanto, è la costruzione d’una terra che si sa muovere a quote più umane. Non so se la bellezza salverà il mondo (quesito troppo impegnativo), ma embrioni di bello, vibrazioni di venustà, germogli d’incontro, ho trovato lunedì 6 giugno presso la Biblioteca Bernardini. Qui s’è svolta la presentazione della raccolta di poesie “Ho abitato la casa del silenzio” (Edizioni Esperidi) di Maria Francesca Giordano. L’autrice è una docente, madre, lettrice appassionata. Non so se la bellezza salverà il mondo (esso è talmente compromesso), ma virgulti di bello ho visto nei visi di tanta gente, lunedì sera. Per strada, prima di arrivare, ho incontrato Paola Bisconti. Alla Biblioteca Bernardini, ho incontrato Mauro Marino, Marcella Rizzo, gli editori di Esperidi, Claudio Martino e Roberta Marra. La serata è stata organizzata alla perfezione. Maria Francesca Giordano ha dialogato con Marcella Rizzo.  Le poesie sono state declamate da Antonella e Mariella e dagli studenti di Maria Francesca Giordano, Giacomo, Flavia, Sofia. Luca ha eseguito pezzi alla chitarra, Erica ha suonato il flauto traverso, Elena ha cantato “La voce del silenzio”.  Dicevamo della ricchezza di valori come l’amicizia, la condivisione, l’amore, la compartecipazione, il dono. Le professoresse Rizzo e Giordano costantemente, nel loro lavoro intellettuale, nella loro professione di educatrici, diffondono saldi principi conoscitivi ed etici. Si fanno portatrici di strumenti pacifici e non violenti, riuscendo a esaltare e a catalizzare il bello. Anche se la bellezza, forse, non salverà il mondo, purtuttavia il bello esiste. E io, lunedì 6 giugno, l’ho scorto nel comportamento, nelle espressioni riflessive e ridenti dei numerosi convenuti. C’erano i colleghi della professoressa Giordano, i suoi allievi al Liceo Scientifico Banzi Bazoli di Lecce, e altre persone. In apertura, la professoressa Marcella Rizzo ha posto la domanda: “È possibile la poesia ancora oggi?”. Forse, proprio in quest’era avvilita, ci sono cento milioni di buone ragioni per rifugiarsi nel porto franco della poesia, che non è la panacea che cura tutti i mali, ma di certo è un ottimo antidoto per oltrepassare le tempeste, le incomprensioni, i travagli. Marcella e Maria Francesca hanno convenuto che una fucina inesauribile d’ispirazione e di conoscenza sia il Novecento letterario italiano. Solo la possibilità di poter leggere i versi di autori come Campana, Saba, Ungaretti, Montale, Quasimodo, Caproni, Penna, Gatto, Bertolucci, Pasolini, Bellezza, Fortini, Sinisgalli, Rosselli, Spaziani, Merini, e altri ancora, vuol dire credere che lampi, barlumi di bellezza possano esistere.

Maria Francesca Giordano ha abitato con decoro la casa del silenzio, cioè del dolore. Ma, con l’ausilio della famiglia, delle persone care, dei medici, della preghiera, è riuscita ad approdare ad una profonda consapevolezza, trasformando una incredibile sofferenza in nuovo sorgive aurore vitali. Discettare di dolore, non è mai facile. Maria Francesca s’è servita del medium della parola per mostrarsi fragile, ferita, nuda. Nuda, come la terra nuda. “La parola è frutto d’un attraversamento doloroso”, ha sostenuto la poetessa. La parola, depurata, liberata da ogni orpello, può diventare lo strumento principale per decodificare il dolore, per depotenziarlo. Se si smussano gli angoli scuri, le dense brume, poi rimane la contezza del tempo. La parola vuole silenzio, inteso come preghiera laica o religiosa. In un tempo che fa frastuoni molesti e fragorosi, dovremmo recuperare la dimensione sacrale del silenzio, come pausa dal rumore. In una raccolta di poesie di qualche anno fa, “Liturgie del silenzio”, Vittorino Curci asseriva che la parola poetica nasce dal silenzio. Solo dal silenzio. Dovremmo tornare a vivere in un modo più sostenibile e piano per apprezzare le cose che accadono. Un tema presente nei versi della silloge “Ho abitato la casa del silenzio” è il viaggio. Lo spostamento fisico che l’autrice ha dovuto compiere per recarsi a Roma per motivi medici, e l’eterno viaggio antropologico ed esistenziale del dolore, con il quale comunque dobbiamo fare i conti ineludibilmente, avendo la necessità salvifica di mutuarlo in qualcosa d’altro. Maria Francesca Giordano non ha stagnato nel tormento, ha impiegato la poesia per scandagliarlo, per interrogarlo, per analizzarlo, per scomporlo, per ricomporlo. La Natura stupisce la poetessa, che si nutre della luce del Sud, dei muretti a secco, del mare che bisbiglia canti, delle sere d’agosto nel cielo di Roma. Parimenti, la rimembranza ha il suo calore, la sua vertigine di meraviglia. Son rimasto favorevolmente impressionato dal dialogo fra Maria Francesca e Marcella. Sul finire, la poetessa ha rivelato che febbraio è il suo mese preferito, il mese dell’attesa, della speranza. A febbraio, il mandorlo si veste di sposa, c’è il vento. Febbraio è un precoce fanciullo di alberi in fiore. Febbraio di luce incerta. La primavera arriverà.

Marcello Buttazzo