di Marcello Buttazzo – Contrasti dilaganti e assordanti. Da una parte, prospera un mondo ipertecnologico e supersviluppato, una società occidentale opulenta, che sovente sperpera e produce più beni materiali e consumistici di quelli che effettivamente sono necessari per soddisfare i bisogni essenziali, primari, e secondari delle popolazioni; dall’altra parte, tanti Paesi a Sud della Terra, depredati di risorse da noi voraci e rapinosi occidentali, vivono quotidianamente in condizione di nera miseria, di indigenza assoluta, di fame conclamata. La nostra Terra sofferente patisce malcelate, palesi contraddizioni. E l’uomo moderno, invece di attivarsi per sfrondare e alleviare le ingiustizie, talvolta sembra incedere e procedere nella sua condotta scriteriatamente distruttiva. Da anni, tuttavia, la Fao cerca di andare incontro ai poveri del pianeta. In numerose conferenze, da parte della Fao, viene rivolto un appello a tutti: “Mangiate gli insetti. Sono nutrienti”. Coleotteri, bruchi, api, vespe, formiche, grilli, sono indubitabilmente una fonte preziosa di proteine e di sali minerali. Gli insetti potrebbero avere, se opportunamente utilizzati, un ruolo rilevante nell’alimentazione umana e in quella animale. Certo, il ricorso a locuste e a cavallette non è da sottovalutare, purtuttavia per tentare di risolvere alla radice il problema della fame è necessario che le grandi potenze e la pervicace e spropositata finanza internazionale adottino politiche più risolutive, più dirompenti.

I Paesi ricchi occidentali potrebbero cominciare, per l’innanzi, ad annullare il debito estero dei paesi del Terzo Mondo, procedendo, altresì, a stanziare ai Paesi poveri somme cospicue, rinunciando magari a parte degli investimenti mortiferi, criminali, negli armamenti. La silenziosa crisi alimentare- che colpisce un sesto dell’umanità- pone un serio rischio per la pace, la sicurezza, la civile convivenza. Sovente, i periodici e grandi vertici della Fao falliscono perché i potenti della Terra non hanno la forza e il coraggio di revisionare iniqui modelli di sviluppo. La fame endemica, che affligge numerose popolazioni del pianeta, è l’avvelenato prodotto di ingiustizie sociali di consolidati sistemi politici ed economici, che basano le loro scelte essenzialmente sulla legge “aurea” del profitto soverchiante. Occorrerebbero un sussulto e una rivolta critica non violenta e uno spirito nuovo, una risoluta consapevolezza. Magari anche un certo ottimismo, che ci faccia asserire che prima o poi la mansione morale (di buona morale) prevarrà sulle “ineludibili” necessità del pertinace capitalismo mondiale.

Vorremmo avere la tenacia e la bellezza umana del senegalese Jacques Diouf, fino a qualche anno fa direttore generale della Fao, il quale non si stanca di dire: “Sconfiggere la fame non è un’utopia”. Questo triste e avvilito tempo di sperequazioni, di colossali squilibri, impone ai potenti della Terra l’obbligo di sanare sanguinolente ferite e di dimostrare che l’etica della responsabilità non è una semplice astrazione filosofica. Bisogna colmare, quantomeno parzialmente, drammatici divari: i diseredati, gli ultimi, gli invisibili esigono tutele, un umano e civile soccorso, una politica del risarcimento, della riparazione, così da porre fine a secoli e secoli di piattaforme di spolazione, perpetrate da noi occidentali fagocitatori. Sconfiggere la fame è possibile? Intanto, cominciamo ad adottare misure razionali e di rigore, edificando civiltà più giuste.

Marcello Buttazzo, 6 ottobre 2017