di Marcello Buttazzo –

E cosa resterà di noi, quando non ci saremo più? Diventeremo polvere, atomi di stelle, sabbia gettata sull’arenile del sogno? Diventeremo piuma, lingua di fuoco, perenne respiro? Basterà la reminiscenza a saturare l’eterna assenza? Sarà sufficiente un raggio incidente per far avanzare la primavera? Cosa lasciamo di noi di là del ricordo e dell’amore taciuto? E i baci non dati (che peccato, che dannazione, i baci non dati), le parole mai dette, gli abbracci negati, a chi gioveranno? Saremo spiriti soli in un altrove che non conosciamo? Saremo anime salve o solo girovaghi del tempo, persi su vascelli di vagheggiamento? Saremo schegge di memoria nel turbinio del vento, murmure lento, spazio d’un momento per rammemorare trascorsi perduti? Forse saremo sangue di papavero nel rosso rosso d’un maggio compagno. Saremo il campo di grano gialleggiante fra le reminiscenze della imminente estate. Saremo il cielo azzurrato dal tempo, che inevitabilmente si consuma. E ritorna. Forse, saremo gli occhi. Di certo, saremo gli occhi di chi vorrà guardare di là del dolore, della neghittosità, del malcontento. Saremo l’aurora di chi vorrà far sbocciare soli, far rinascere inedite stagioni. Saremo la notte di chi è disposto a traversare il nero più scuro pur di vedere barbagliare la vita. Saremo il pensiero. Sì, saremo il pensiero che si dissolve. Ma mai finisce.

Marcello Buttazzo