di Marcello Buttazzo – Amore del tempo fuggiasco. Amore, amore che tagli le mani, come lama t’insinui nelle carni riarse. Nel solco del palmo ferito, un annerito scuro. Il nero dominio d’un amore posseduto nel connettivo delle ossa, nella musica del respiro. L’amore è immortale non passa. Lo trovi nel vento tiepido di settembre, nelle albe silenziose di fresco chiarore. Eterno l’amore, è l’infinito gioco. Nei crepuscoli d’arancia, la fine e l’inizio di ciò che resta. Amore che scompiglia i pensieri, rinsalda i vissuti, spariglia le ovvietà. Amore che, come un battello ebbro, fa del mare e della vita uno specchio di marosi tempestosi, riemerge e risorge sempre nuovo da ogni cenere. Amore del giorno, amore del sogno, di attese celesti, di rosee chimere, di speranze taciute e manifeste. Ricercare l’amore costantemente, come pazienti e attenti rabdomanti, è un’attività antropologica di vibrante vitalità. Non possiamo mai vigliaccamente ammainare le bandiere al cospetto d’una promessa allettante. Ivano Fossati, artista sensibile, cantore dell’amore, della Natura, delle cose della vita, in una intervista di qualche anno fa ha sostenuto con piglio deciso: “Nulla è più politico dell’amore”. Ha ragione. Nelle relazioni degli innamorati vivono e s’incrociano universi vibratili di stelle, che ruotano incessantemente. “Due amanti felici non hanno fine né morte, nascono e muoiono più volte vivendo, hanno l’eternità della natura”, canta Pablo Neruda. L’amore è quel cemento, che ci accomuna e ci integra in un unico ceppo di individui. L’amore è politico, perché un solo bacio fra due adolescenti riassume tutta la storia del mondo. Cantare l’amore è in fondo un esercizio fisiologico, perché nel nostro Dna è iscritto a caratteri di fuoco un programma fatto di baci, di abbracci, di comprensione, di carezze, di sorrisi. “Nulla è più militante dell’amore. Cerco di raccontare la società attraverso le piccole storie”, sosteneva Fossati. Innalzare elegie, inni di gioia e madrigali, è un’inclinazione che abbiamo dentro. Nella vita ordinaria, vissuta, di tutti i giorni, c’è la cifra inerente dell’umano sentire. Come intona Venditti, “le cose della vita fanno piangere i poeti”. E i nostri cantautori sono i poeti popolari della contemporaneità: meglio di tutti riescono a insinuarsi nelle pieghe dell’anima con musicalità.