Noi nel “mondo capovolto”
di Marcello Buttazzo – Vite dolenti, ferite, malferme, in subbuglio, percorrono gli alterni e incerti selciati del villaggio globale. Ancora oggi, purtroppo, nell’era della diffusione e pervasione digitale, della tecnologia dea sovrana, a varie latitudini, assistiamo a improvvide, ferine, sistematiche ingiustizie, a stridenti e clamorose inosservanze della Carta dei diritti umani. Quanti migranti e profughi in fuga dalle guerre e dall’inferno, in varie parti del mondo, non ricevono un’umana e doverosa accoglienza? Addirittura, nella vicina Libia, con l’accordo o con la connivenza dell’Italia e dell’Europa, i disperati delle acque e delle terre vengono trattenuti in indecorosi campi lager, con l’unica “colpa” di non avere le carte in regola per circolare liberamente.
Quanti giovani e meno giovani senza lavoro (disoccupati e inoccupati) nell’opulento e obeso sistema capitalistico mondiale, che premia costantemente i più ricchi a detrimento dei più poveri, sono messi ai margini, di fatto espulsi dal connettivo vitale e sociale?
Quante donne non hanno accesso al lavoro o vengono talvolta licenziate, solo perché portatrici d’un fecondo grembo materno, che sa nutrire e dare la vita? E, pertanto, nell’odierna civiltà del reboante e “sacro” profitto, vengono ritenute poco produttive, un peso ridondante, sicché appare lecito finanche “sbarazzarsene”?
Quanti uomini desolati, imbrigliati nelle ferrigne maglie di questa “meravigliosa società civile” (per dirla con le parole di De Andrè), sono senza speranza, senza un reddito minimo? E così vengono messi ai margini, non vengono considerati.
Quanti cittadini e cittadine devono subire la greve grossolanità di certuni, devono sopportare l’ignoranza di chi è avvezzo a fare superficialmente differenze fra gli esseri umani in base all’appartenenza di genere e sessuale?
Quanti neri, gialli, mulatti vengono discriminati solo per il colore della pelle, per le loro caratteristiche somatometriche? Come se un pallore del viso potesse conferire supposte superiorità elettive. Quante volte le minoranze etniche devono piegarsi a sopraffazioni di vario tipo, all’annullamento della loro ricca identità, alla non valorizzazione della loro cultura? Se pensiamo strettamente al nostro Paese, ci possiamo chiedere come mai, a rigor di logica e d’umanità, i figli dei migranti nati in Italia non debbano essere considerati a tutti gli effetti cittadini italiani? Tante volte, afflitti, prostrati, abbiamo letto di minoranze religiose, in paesi caldi, che non solo non vengono opportunamente riconosciute, ma sono anche vilmente perseguitate. Può capitare che donne cattoliche vengano condannate a morte per una convinta adesione di fede. Come non condividere totalmente, in alcuni casi ben precisi, le campagne sponsorizzate, da anni, dall’ “Avvenire”.
Il quotidiano dei vescovi denuncia pertinacemente con sdegno gli attacchi omicidi, cui vengono sottoposti i credenti cattolici, minoranze non protette in alcune infiammate contrade, dall’Asia all’Africa. Dinanzi alle angherie e alle volgarità, uno strumento pacifico e non violento da utilizzare sempre è la corale protesta, la civile consapevolezza di non credere per forza a ciò che sembra ineluttabile. Dinanzi ai soprusi, all’acre sapore dell’iniquità e all’immagine tetra e sfatta di questo mondo capovolto, abbiamo la certezza di aver toccato il fondo e, a questo punto, dovremmo adoperarci per un trasalimento di operosità, per un sussulto di dignità.
Marcello Buttazzo, 16 ottobre 2017
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