di Luigi Mangia –

Quasi sempre i colori hanno identificato le lotte contro lo sfruttamento e quindi contro le classi del potere. Il rosso è stato il colore della lotta del movimento operaio durante tutta la civiltà industriale. Quel colore è cambiato, ha perso il suo significato, non indica più la lotta, non guida più il progresso sociale perché ha perso l’entusiasmo del futuro ed è finito per indicare disperazione e morte anche per il cielo di Taranto. Il cielo dell’alba, della città della Magna Grecia, fa paura: è come un inferno essendo squarciato da alte lingue di fuoco lanciate nell’aria dalla grande fabbrica d’acciaio. Nelle strade del quartiere Tamburri, vicino alla fabbrica, l’aria è amara dal suo sapore di ferro. Anche gli occhi sono aggrediti e quindi si vede con grande fatica. Quando spira il vento la città subisce la paura delle polveri velenose, perciò le donne chiudono le finestre, i bambini non vanno a scuola, le strade sono vuote e senza voci. Anche la città dei morti (il cimitero) subisce la violenza velenosa delle polveri dell’Ilva. Le tombe di Taranto sono rosse ormai coperte dalla polvere di ferro. Il rosso della polvere sulle tombe è percepito come la continuità della morte cominciata nella grande fabbrica di acciaio e finita nella città dei defunti. Il lavoro serve per vivere, a Taranto serve per morire.

Il 25/2/2019 a Taranto è promossa una fiaccolata dalle famiglie per ricordare la morte per cancro di molti bambini nati e poi morti senza aver avuto vita e rispetto. Sulle loro tombe la polvere rossa dell’Ilva unisce gli innocenti morti per inquinamento. Taranto ha il cielo malato, il fuoco dell’Ilva ha divorato il suo azzurro; l’aria avvelenata perché la polvere di ferro ha fatto perdere il suo profumo del mare dello Ionio. Taranto è una città triste perché ha perso la capacità di garantire ai bambini il diritto di giocare nelle strade, e nei giardini e di andare a scuola anche quando in città soffia il vento di scirocco, infatti il Sindaco ha chiuso due scuole proprio nel quartiere Tamburri.

“Qui, dove il salmastro

e lo scirocco battono le ore,

il vento aspro dell’inverno

scolpisce ulivi padroni.

Qui dove la luce bianca trafigge il bagnasciuga,

il canto dei pescatori

inventa il pane del giorno.

Qui dove il carrubo segna il sogno dell’autunno,

i gabbiani scherniscono

i segni inverecondi del tempo”.

Poesia del poeta di Taranto Angelo Lippo

Taranto ha perso il suo paesaggio, se lo è divorato la fabbrica d’acciaio e soprattutto l’egoismo di una classe capitalistica che non ha saputo rispettare il lavoro di chi suda per portare pane ai figli. Così Taranto non solo non ha più i bambini nella strada ma non ha neanche più il colore rosso delle lotte operaie.

Gigi Mangia