di Marcello Buttazzo – C’è la consuetudine di mettere nel simbolo dei partiti il nome del leader rappresentativo. Liberi e Uguali ha il nome di Pietro Grasso. Europa quello di Emma Bonino. Anche la nuova Lega, molto modestamente, fa quello che può e presenta nel simbolo la dizione “Salvini premier”. Il Carroccio non è più secessionista, né indipendentista. Il giovane segretario è a caccia di proseliti e di consensi in tutto il Paese e, con una mossa “geniale”, ha deciso di togliere dal simbolo la parola Nord. Come se fosse sufficiente ciò ad assurgere ad improbabili significati. Niente più verde speranza, niente “sacre” ampolle del Po, niente folclore di sapore paesano. Adesso solo propaganda. La lotta senza quartiere contro i clandestini è sempre all’ordine del giorno, è sempre l’eterno-ritornante disco rotto, uno dei “temi non negoziabili” di Matteo non più padano, ma italiano. Il partito è finalmente “cambiato”, addirittura “rivoluzionato”. I proclami di Salvini sono altisonanti: “Penso che il marchio Lega sia riconosciuto e apprezzato da milioni di italiani: con oggi si parte con un movimento che ci porterà a superare il 20% di consensi. Offriamo a 60 milioni di italiani il buon governo”. Del resto, la bontà dell’operato leghista l’abbiamo già ampiamente sperimentata nei passati governi Berlusconi.