di Marcello Buttazzo –

Nei visi dimessi di povera gente la fierezza. La povertà contenuta, contegnosa, discreta, come una coperta nel rigido inverno. Le sconfitte rovinose. Eppoi le lacerate corde come una conquista di valore. Vedrò sempre nei visi scabri di povera gente l’ardimento d’una aurora lontana, quando l’immenso chiarore sarà fervore dei giorni dell’avvenire. La voce, la voce degli esclusi. Tace la voce di chi vive ai margini. M’affascina la poesia dei senza voce, degli ultimi, il grido acuto dei pazzi non omologati a questo mondo impazzito. M’intriga il vecchio incontrato per strada, povero di stracci, ricco d’umanità. Silente e senza pace la voce dei diseredati. La voce, sommessa voce, di chi nonostante tutto fa muovere la terra. I poveri sono molliche di pane cereale, tenero, che non hanno bisogno solo di compassione, ma necessitano d’un caldo abbraccio, d’una tenera carezza, d’una stretta di mano vigorosa. I poveri non vogliono solo pietà, misericordia, ma esigono d’essere visti con occhi chiari e adamantini. I poveri hanno bisogno di riconoscimento e di veder legittimata la loro inerente integrità. I poveri hanno bisogno di dignità, quella mansione umanissima che non si vende e non si compra in alcun mercato dell’usa e getta. I poveri necessitano più che mai di compartecipazione. Condivisione d’un sorriso, d’un saluto. Condivisione del tempo, che è una variabile da gestire con parsimonia. I poveri hanno bisogno della cura, la suprema attenzione che ciascuno sa dare al proprio sé e all’altro da sé, in modo però strettamente disinteressato. I poveri ci insegnano la vita, i principi e i valori primari dell’esistente, ci mostrano il seme fecondo dell’essenzialità francescana e la bellezza sostanziale della fragilità, ci aprono la via delle future aurore. Il loro decoro e la loro compostezza sono esemplari in questa società contemporanea, che talvolta celebra falsi e inutili miti di cartapesta. Ho letto su “Avvenire” (domenica 19 novembre), ne “Il Vangelo delle briciole”, una bellissima considerazione del poeta e teologo José Tolentino Mendonca, che qui riporto integralmente:

“I poveri non sono dati statistici, né astrazioni: sono esseri umani che hanno bisogno di altri esseri umani. In effetti, un’attenzione affettuosa, uno sguardo in cui il preconcetto e la paura accettino di essere sostituiti dal riconoscimento dell’altro e dalla compassione, costituiscono tante volte l’inizio di una storia differente. Domandare all’altro il suo nome e dirgli il nostro. Dare del tempo, e non solo un aiuto di sfuggita. Condividere un sorriso che trasmetta a chi è in una situazione di vulnerabilità la certezza, per quanto piccola, di essere visto, e che la sua esistenza viene valorizzata. Riconoscere i suoi diritti. I diritti umani fondamentali sono universali; tutti gli esseri umani condividono e sono protetti dallo stesso quadro normativo. L’articolo 3 parla, per esempio, del diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale. L’articolo 17 afferma che ogni persona, individuale o collettiva, ha diritto alla proprietà, e nessuno può essere arbitrariamente privato di quanto gli appartiene. La legge protegge coloro che già sono detentori oggettivi di questi diritti. Ma chi protegge i diritti di chi non ha diritti? La serva di Dio Dorotea Day diceva che alla radice di una coscienza sociale degna di tale nome c’è il riconoscimento che il problema di uno è il problema di tutti. E avvertiva il pericolo di un’eresia: quella di non riconoscere Cristo nei poveri”

Marcello Buttazzo