di Marcello Buttazzo –

Un atteggiamento antropologico consapevole e rispettoso è quello di saper riconoscere sempre la propria integrità, la bellezza unica e irripetibile del proprio sé. Saper calpestare la terra con il passo indomito e riguardoso, riuscire a osservare il cielo, scorgendo l’azzurro, il bianco, l’ambra, l’arancio, il viola, e tutta una miriade multicolore fisica, che è anche una tavolozza d’anima. L’accortezza ontologica rilevante è quella di saper affermare dolcemente il proprio sé, creando, al contempo, ponti conoscitivi con l’altro da sé. Ciascuno di noi ha il bisogno umano e filosofico d’essere “visto” dagli altri, ma non può esimersi dal compito di voler mirare attentamente gli altri universi con occhi puliti. In questi ultimi due anni turbolenti, d’una epidemia mondiale di Coronavirus, gli umori si sono molto surriscaldati, le opinioni si sono fatte radicalmente divergenti, ci si è scontrati fra simili. C’è chi ha messo in discussione le risultanze della scienza e il suo armamentario meccanicistico di causa ed effetto. Possiamo anche dibattere animatamente su alcune questioni, relative, ad esempio, alla eventuale invasività economica delle multinazionali del farmaco, o all’incedere di altri dettagli, ma non possiamo, tuttavia, abdicare e rinunciare ad un’idea aurea di cittadinanza, di casa comune, di medesima appartenenza ad un gruppo di uomini e di donne, che possono anche pensare variamente l’esistente. Ma poi, alla fine, è necessario più che mai convergere su una superiore etica di comportamento. Ciò detto, per la crescita e per l’adattamento evolutivo e culturale dell’Homo sapiens sapiens, è bene sempre coltivare il giardino non cruento (pacifico e non violento) della diversità. A tal proposito, mi ha colpito leggere il seguente passo dello scrittore e editorialista dell’”Avvenire” Riccardo Maccioni: “L’importante è non farsi omologare troppo, non consegnare la propria differenza al pensiero comune, non ritenersi fuori dal coro solo perché si esprime con più veemenza ciò che dice, magari con le stesse parole, la maggioranza degli altri. Non si tratta di sentirsi superiori ma di essere se stessi, di lavorare sulle proprie passioni, di modellare il carattere guardando alla realtà di cui siamo parte. La sfida è coniugare l’io con il noi, senza rinunciare alla propria identità ma anche senza consegnarsi ai suoi umori. Siamo irripetibili, diciamo spesso, ed è vero, ma l’unicità, l’originalità del nostro stare al mondo vanno spese per crescere insieme agli altri. I dettagli come perle diverse della stessa collana, come mattoni per costruire la casa di tutti”.