Dove c’è “il dolce e l’amaro”. Sulla poesia di Daniele Giancane
di Vittorino Curci –
Docente universitario, poeta, scrittore, saggista, direttore della rivista letteraria più longeva del Meridione, “La Vallisa”, Daniele Giancane (Bari, 1948) ha pubblicato più di 100 libri: il primo, con prefazione di Tommaso Fiore, nel 1969; il più recente, per le edizioni Tabula Fati di Chieti, “Attraversammo le porte del sogno”.
Giancane è uno dei grandi protagonisti della poesia in Puglia nell’ultimo mezzo secolo. Per lui la poesia è, per usare un’espressione pasoliniana, “il sogno di una cosa”, una ragione di vita, una passione, una fede, una missione, un destino, un’utopia.
Già Tommaso Fiore, nel lontano ’69, metteva in evidenza due qualità contrastanti del suo giovane amico poeta: il dolce e l’amaro. In effetti sin dalle sue prime prove Giancane non ha mai saputo scegliere, come ha dichiarato in una intervista, tra l’essenzialità e la stringatezza di un Jimenez e la torrenzialità, la passione e l’impeto di un Neruda. Perciò si è sempre mosso nel fuoco perenne di una contraddizione, tanto che la sua poesia è allo stesso tempo centrifuga e centripeta, “frammento e poema”, realtà e sogno, metafisica e impegno civile.
Nel suo nuovo libro scrive: “Chi decise e chiamò vita vitale il giorno / e tempo perso o falso il sogno? / Forse noi fummo creati / per il sogno / e l’agire alla luce del giorno / è solo / la preparazione al mondo notturno”.
Grande influenza hanno avuto su Giancane il ’68 e i poeti della Beat generation da cui ha assimilato soprattutto un’idea di poesia come allargamento dell’area della coscienza. “E che significa, alfine, la parola / reale?”, scrive in questo suo ultimo libro sul sogno. Si gira pagina ed ecco la risposta: “Siamo forse noi – che scompariamo in breve nel nulla – / reali?”
Sulla sua poesia è stato scritto moltissimo. Ricordo qui le monografie critiche di Angela De Leo, Marco I. De Santis, Maria Pia Latorre con Teresa Marcotrigiano e Cosimo Rodia, fino all’ultima, dello scorso anno, in doppia lingua (albanese e italiano), di Anton Berisha intitolata La poesia è un viaggio esistenziale.
Mi colpisce molto che ancora oggi, nonostante la sua lunghissima esperienza, Giancane affermi che davanti a una grande poesia trema. Perché, dice, “sento che un segreto è stato quasi svelato. Che siamo vicini a una soglia”.
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