di Paolo Vincenti –

Come ampiamente previsto, le elezioni del 4 marzo, anche a causa di una legge elettorale barbina, il Rosatellum, hanno lasciato l’Italia nell’ingovernabilità, non avendo consegnato la maggioranza a nessuno dei partiti in campo. Tuttavia, notevolissime sono state le affermazioni del Movimento di Beppe Grillo e della Lega Nord. Sebbene i voti siano tanti, non sono però sufficienti. Di più, il voto ci consegna un’Italia davvero spaccata in due politicamente, come si evince dalla cartina pubblicata da “Il Giornale” il 6 marzo 2018, con il meridione che ha votato compattamente il Movimento Cinque Stelle e il settentrione quasi tutto per il centro-destra a trazione leghista. C’è una piccola area geografico politica, nel centro Italia, che ha votato Pd, e poi un’area più grande priva di rappresentanza che è quella degli astensionisti: cioè adulti indecisi o disgustati dallo stato delle cose che hanno perso ogni speranza, e il popolo della chiocciola, ossia i giovanissimi che nemmeno si sono recati alle urne, del tutto disinteressati da quanto succede al di fuori del loro iphone.
“La situazione politica non è buona”, canta Adriano Celentano. Entrambe le forze maggioritarie sono movimenti populisti, quello pentastellato di protesta più che di proposta. Nessuna sorpresa, come ripeto. Hanno vinto in quasi tutta Europa le forze anti establishment e l’Italia non poteva fare eccezione. Il problema è che il principale partito anti casta nel nostro Paese è appunto il Movimento Cinque Stelle, ossia il peggio del peggio (molto peggio della Lega).

Ma il risultato che più evidenzia il ribaltamento della situazione è quello del Partito Democratico, sceso a meno del 19%.  Incredibile, se si pensa che il Pd è il partito che ha governato nell’ultima legislatura e che alle Europee del 2016 ha preso il 41%. Sic transit gloria mundi. Renzi, Napoleone con lo scolapasta in testa, dagli altari alla polvere. ll bullo ha preso una sberla dalla quale a breve non si rialzerà, sebbene il bischero Matteo abbia tentato la mossa del cavallo, per dirla con Camilleri, per spiazzare l’avversario. Ma nel suo partito è iniziato già il redde rationem, e se non si compirà fino in fondo, ciò è dovuto alle truppe cammellate, cioè al fatto che la maggioranza del partito è tenuta dai fedeli di Renzi. “Un popolo anzi un mondo declina: quello di centro sinistra come lo abbiamo conosciuto finora” scrive Visman Cusenza su “Il Messaggero” del 6 marzo 2018. “E stata spazzata via la sinistra dell’elite, che non sa più parlare al popolo”, scrive Mario Ajello sullo stesso giornale. Una vera e propria frana si è abbattuta sul Partito Democratico. Ma Renzi sembra non accorgersi dello scollamento fra il partito e la base sociale, dando conferma a quanto scrive la stampa. Egli infatti si è abbracciato allo status quo rivelandosi in tal modo collaterale a quella feccia politica della prima e seconda repubblica su cui sputava all’inizio della sua ascesa. Ora Renzi, il leader rottamatore, attaccato alla poltrona, vendicativo e rancoroso, si dimostra simile ai da lui rottamati. Anche il Presidente del Consiglio Gentiloni pare sconcertato dalla sua intemerata. Ma anche Franceschini e Delrio, entrambi papabili alla carica di nuovo segretario del Pd. Il Renzaccio poi pretende anche di dettare le regole ammonendo che non sarà la dirigenza del partito a nominare il nuovo segretario ma bisognerà andare alle primarie. Per quanto condivisibile, non si può accettare un diktat da parte di un leader esautorato che si attacca al respiratore artificiale per allontanare la morte inesorabile.

Magra figura per la lista “Piu Europa” di Emma Bonino, la quale per presentare le liste ha dovuto ricorrere all’aiuto del moderato e cattolico Tabacci. In politica la coerenza è aria fritta e i radicali ci hanno abituato nella loro lunga storia alle sorprese, ed era chiaro che questa inversione a u della Bonino l’avrebbe fatta uscire fuori strada. Ancor più magra figura per la lista “Insieme”, nonostante la benedizione di Romano Prodi. Che dire poi degli insulsi Liberi e Uguali? Nonostante la testa d’ariete Grasso, il movimento di Bersani e D’Alema ha racimolato un micragnoso 3 virgola qualcosa, troppo poco per chi contava di essere centrale nel nuovo assetto politico. Anche Rifondazione Comunista e Sel facevano meglio. C’è di buono però che grazie a questa operazione ardita quanto becera di disarcionare Renzi, i fuoriusciti del Pd hanno rottamato sé stessi. “Potere al popolo” prende appena l’1%. Che sagome, i comunisti col Rolex, per dirla con JAx e Fedez. Nel centro-destra, a fare la parte del leone è stato Salvini, con una buona affermazione della Meloni dei Fratelli d’Italia, magro bottino invece per la quarta gamba fittiana di “Noi con l’Italia”. La Lega totalizza il 18%, mentre Forza Italia scende a poco più del 14. Onore al merito di Salvini che ha portato il suo partito dal 4% del 2013 al quasi 18% di queste elezioni e ciò senza fare epurazioni, come il suo omonimo del Pd. Ecco, se c’è una differenza davvero macroscopica fra i due quarantenni segretari è che il Pinocchio piddino è sempre stato divisivo (dopo di me il diluvio), mentre il brianzolo unisce, concilia, armonizza. Poi c’è una differenza di stile ben evidente. Infatti, il Matteo ex arrembante non nasconde la propria spocchia e anzi se ne fa scudo, utilizza la nobiltà della tradizione a cui si richiama, la propria presunta superiorità culturale per dileggiare gli avversari, mentre il Matteo ora arrembante, consapevole della propria scarsa formazione e delle vergognose radici (ha tolto la dicitura Nord dal nome del partito), usa un atteggiamento più prudente, quasi remissivo in certi casi con chi la sa più lunga di lui. Salvini ha persino candidato Umberto Bossi, il suo principale avversario interno, facendo eleggere il vecchio scarpone in un collegio sicuro, la sua Varese.

Percorso opposto, insomma, quello dei due Mattei. Sic transit gloria mundi reloaded. Ma Salvini ha trovato sponda anche al Sud, notevole l’affermazione nel Meridione per una forza politica già razzista e secessionista. Ciò perché il leader lumbard ha saputo parlare a tutta la gente ed è spesso venuto in vista nelle città meridionali a predicare ordine e sicurezza. “Da padano a nazional popolare. Così il lumbard ha conquistato il Sud”, spiega “Il Messaggero”, a firma Marco Ventura il 6 marzo 2018. Un buon risultato anche quello ottenuto da Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha più che raddoppiato i consensi. In caduta verticale invece quelli di Forza Italia.Ora Berlusconi dovrà riconoscere la leadership del Salvini se non vuole sparire del tutto, arroccandosi su posizioni anacronistiche. Il Cavaliere mascarato deve cedere ed accettare finalmente ciò che era evidente per tutti tranne che per lui, e ritirarsi nella quiete dorata della sua vita privata. Tanto ormai non ha nemmeno più il problema del successore. Può passare a chiunque le consegne di un partitino del 14%. Purtroppo nessuna persona seria e assennata può festeggiare di fronte ai risultati elettorali, perché sia Movimento Cinque Stelle che Lega non hanno forza autosufficiente per governare e hanno bisogno di coalizzarsi con altri partiti, ossia con il Partito Democratico, che sarebbe per ciascuno il male minore, o peggio fra di loro. Ma il Partito Democratico a guida renziana non intende allearsi e vorrebbe fare saldamente opposizione e l’alleanza fra Lega e Cinque Stelle pare improponibile perché nessuno dei due leader, Salvini e Di Maio, vorrà fare un passo indietro e rinunciare alla Presidenza del Consiglio. Dunque, tempi foschi saranno le prossime settimane per la politica italiana.

Bisogna dire però che di risultati positivi queste elezioni ne hanno portati.  A cominciare dai tanti impresentabili e improponibili rimasti fuori dal Parlamento. L’esercito dei trombati, come celia “Il Giornale”, è guidato da D’Alema. Baffino è rimasto fuori, sconfitto in quel Salento che pure lo ha sempre stravotato. L’ex leader massimo pensava di trovare nelle nostre lande ancora fertile prateria elettorale, accompagnandosi a vecchi potentati che la gente ormai non sopporta più.“I trombati e i miracolati”, come scrive “Il Giornale”. Fra i trombati eccellenti, oltre al già citato D’Alema, quarto nel suo collegio di Nardò, Pippo Civati, Nico Stumpo e Arturo Scotto, sempre di Liberi e Uguali; Stefano Esposito del Pd, Gianni Pittella in Lucania, così come la giornalista Francesca Barra, poi Riccardo Illy a Trieste; il celeste Formigoni, candidato con Noi con l’Italia, e per il Movimento Cinque Stelle  l’ex Iena Dino Giarrusso e il Comandante De Falco. Allegramente trombati anche molti Ministri gentiloniani, come Minniti, Dario Franceschini, Orlando, la Fedeli, Roberta Pinotti, sebbene questi siano ripescati grazie al Proporzionale. Ma rimane clamorosa la loro disfatta nei collegi uninominali: e figure di merda hanno pure collezionato il Presidente Grasso, leader dei Leu nella sua Palermo, e la Presidenta Boldrini. Inaspettatamente trombate (ma salve) anche Emma Bonino e il Ministro Beatrice Lorenzin.  Per quanto riguarda la debacle di Liberi e Uguali, è desolante osservare come una battaglia di carattere personale, fra Baffino D’Alema e il bullo Renzi, porti a spaccare quello che era il principale partito italiano fino alle elezioni del 4 marzo,  e al suicidio omicidio di una intera classe dirigente. A Grasso, Bersani and co. non importa nulla delle sorti dell’Italia ma solo delle loro beghe da cortile. Ora Liberi (da ogni dignità) e Uguali (alla politica politicante d’antan) si dicono disponibili a dialogare con i Cinque Stelle. Peccato che i grillini li snobbino perché le loro misere percentuali non servono a formare una maggioranza. Berlinguer e Natta si saranno rivoltati nella tomba di fronte alla ingloriosa fine di una sì nobile tradizione della sinistra italiana. Chi gongola invece è l’anima di Gianri Casaleggio. La sua creatura politica è divenuta la prima forza del Parlamento. Ora spetta a loro governare dopo avere sputato sentenze e inneggiato a onestà e trasparenza. Peccato che, se vogliono farlo, si debbano ritrovare come interlocutori quegli stessi fetenti maneggioni che hanno per una vita sfanculato. E qui viene il bello, o il brutto. Al partito dei grillini sono stati indirizzati molti voti del Pd e anche di tanti altri partiti. Dunque se c’è una responsabilità maggiore, questa è dei grillini. I 5 stelle hanno raggiunto un enorme risultato che adesso dovranno capitalizzare.  E “Giggino” Di Maio da Pomigliano d’Arco lo dovrebbe capire.

Paolo Vincenti