di Marcello Buttazzo –

Sull’”Avvenire” di giovedì 4 marzo, Maurizio Patriciello descrive con amore e con umanità il viaggio estremo di Roberto, di 34 anni, da un anno malato di Sclerosi laterale amiotrofica, che ha lasciato la sua Sardegna per recarsi in Svizzera, dove ricorrerà al suicidio assistito. Contro il parere dei genitori, che avrebbero condiviso con lui ogni angoscia, ogni dolore, Roberto ha deciso di fare questo ultimo viaggio. Il suicidio assistito e l’eutanasia sono paradigmatiche questioni eticamente sensibili, che scuotono le coscienze e mettono in gioco le nostre più vive concezioni ontologiche. Un sacerdote impegnato nelle periferie, un uomo di trincea, come padre Maurizio Patriciello, sostiene di essere “accanto a Roberto che è andato a morire”, nella consapevolezza che patire il decadimento del proprio corpo non sia cosa semplice. Padre Patriciello scrive chiaramente: “Nessuno oggi osa giudicare nessuno”. Epperò, personalmente, da laico e cristiano, non posso non condividere l’invito che il sacerdote rivolge accoratamente alla comunità intera: non dobbiamo smettere di scrutare il grande mistero della vita. Indipendentemente dalle visioni ideologiche di ciascuno di noi, non possiamo non essere coinvolti dalla drastica decisione d’un giovane, d’un nostro fratello, di voler morire. I bioeticisti s’interroghino pure sul concetto di autodeterminazione, di libertà di scelta, di qualità e di sacralità della vita, e di altro; noi cittadini della strada facciamo anche tutto ciò di eticamente significativo, ma accogliamo, altresì, il quesito di padre Patriciello: “Ci chiediamo con grande serietà se per le persone affette da Sla, in Italia, sia fatto tutto, ma proprio tutto, per rendere meno penose le loro giornate”. E, comunque, dinanzi al dolore, tutti (atei o credenti) siamo smarriti, siamo fuscelli sospinti dal vento, fragili in mezzo alla tempesta.

Marcello Buttazzo