di Marcello Buttazzo –

Recentemente, sono stati incardinati, in Commissione Affari Sociali alla Camera, le proposte di legge recanti “norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni anticipate nei trattamenti sanitari”. Prossimamente, si dovranno esaminare in Parlamento 10 diverse proposte di legge. Siamo appena agli inizi d’un dialogo molto sentito dall’opinione pubblica. In passato, la questione testamento biologico è stata affrontata dalla politica attiva in modo artificioso e ideologico. Soprattutto dopo la dipartita di Eluana Englaro, si cercò di sclerotizzare il Paese su posizioni insostenibili. L’esito fu una spaccatura nella società e un testo di legge che non arrivò all’approvazione definitiva, perché illiberale, antiscientifico e, forse, incostituzionale.
Anni fa, l’allora governo Berlusconi, intimamente coadiuvato dall’inossidabile e trasversale “partito della vita”, portò avanti una campagna tremenda, inumana. Partendo da fissistiche asserzioni di principio, qualche rappresentante delle istituzioni voleva imporci il sondino di Stato, la vita artificiale. I vari Sacconi, Quagliariello, Roccella, Gasparri, insieme ai centristi più devoti, sostenevano che l’alimentazione e l’idratazione forzate fossero “sostentamento vitale irrinunciabile”.
In controtendenza, però, con i pronunciamenti delle Associazioni nazionali e internazionali di Nutrizione artificiale, che identificavano e identificano l’alimentazione forzata come una vera e propria terapia medica, suscettibile all’occorrenza di essere interrotta. Il governo Berlusconi, anni fa, si fossilizzò nel proporre dichiarazioni anticipate di trattamento impraticabili, impossibili, solo per compiacere la Chiesa cattolica, sperando d’ottenere appoggi sostanziali e politici. Ma anche la posizione dei Vescovi era ed è molto debole da un punto di vista filosofico e pratico. il principio della “sacralità della vita umana” è rispettabilissimo da un punto di vista valoriale e ontologico. Ma amare intensamente l’esistenza non vuol dire perpetrare ad oltranza stati fisiologici. La Chiesa cattolica cede, talvolta, ad una sorta di rigido materialismo e di biologismo spirituale. Non si può predicare la purezza e l’intangibilità, a proposito ad esempio della fecondazione artificiale, per cui le tecniche di laboratorio verrebbero ad “intaccare” e “inficiare” la naturalità dei processi. Eppoi, quando si tratta della fine della vita, si vorrebbero costringere allo stremo le funzioni biologiche, prolungandole sempre e comunque, con macchine capaci d’assicurare una “infinita” esistenza vegetale.
Stavolta attendiamo dai parlamentari maggiore accortezza, più dialogo, meno inasprimenti, meno ideologismi. Il terreno di confine fra la vita e la morte può divenire uno spartiacque dolente, che comunque appartiene sempre alla coscienza del malato. Il “fine vita” è un tema delicato, periglioso: lo Stato dovrebbe entrare sempre in punta di piedi con pronunciamenti morbidi, lineari, condivisibili, rispettosi del pluralismo etico. In certuni casi, la vita umana può divenire un porto di travagli insopportabili, luogo delle sorde sofferenze.
Ogni cittadino informato, responsabilmente e umanamente, dovrebbe avere il diritto di interrompere terapie sanitarie, comprese l’alimentazione e l’idratazione forzate. I politici che s’apprestano a formulare la prossima normativa sul testamento biologico dovranno sempre tenere conto del principio di autodeterminazione del soggetto, sancito dall’articolo 32 della nostra Carta costituzionale. Di certo, si dovrà legiferare sul “fine vita” non per speculazioni politiche o per meri calcoli elettoralistici, ma solo per giustizia e per garantire possibilità e diritti alla comunità.

Marcello Buttazzo