di Marcello Buttazzo – La poesia è compartecipazione, carne viva, vibratile d’amore. La poesia è una fanciulla serena, che ci fa gettare lo sguardo oltre l’ultimo orizzonte e fa sbocciare le rose d’inverno, gli ellebori blu ardesia. La poesia è l’aurora che traluce di sogni, di attese, di speranze, di chimere, di utopie. Sono stato venerdì 15 dicembre, presso la biblioteca comunale, alla presentazione del libro “Il coraggio di cambiare” di Giuseppe Fioschi, edito dal Magazzino di poesia di Spagine (Fondo Verri).

Giuseppe, molti anni fa, ha traversato gli inferni travagliosi della tossicodipendenza e una fredda ghettizzazione da parte di certuni, ma ha saputo con il tempo, con un lavoro certosino sulla propria interiorità, rivoltare la sua vita come un calzino. Chi sa consapevolmente riconoscere, analizzare, mutuare, scomporre e ricomporre il dolore con cura e con amore, chi sa trasformare il disagio in inedite aurore vitali, è un artista della vita, perché sa approdare ad una bellezza seconda. Giuseppe con la sua abnegazione non ha stagnato nella sofferenza, negli inconcepibili sensi di colpa, nello sterile e inutile vittimismo, ma ha digerito, ha metabolizzato l’inferno. Oggi è un uomo nuovo, è padre, è marito, lavoratore indefesso.

Mauro Marino ha parlato della attenzione di Giuseppe per la lettura e per la scrittura. Mauro, con la sua tipica dolcezza, ne ha descritto, la genesi, il percorso seguito da Giuseppe, che si è piano piano affezionato alla parola scritta. “Il coraggio di cambiare” è una sorta di “diario intimo”, poiché comprende racconti di vita vissuta, qualche poesia e un compianto dedicato ai famigliari defunti. Mauro Marino ha letto alcuni passi del libro, anche Giuseppe ha letto. Mauro ha voluto tratteggiare con morbidezza la passione e l’amore di Giuseppe per la Natura. Posso testimoniare che Giuseppe ha “occhi da poeta”.

Il poeta Ennio Cavalli ha sempre ripetuto che per essere poeti non è necessario leggere milioni di libri. Se si legge molto, è meglio. Epperò, per essere poeti – dice Cavalli – occorre avere “occhi da poeta”. E io Giuseppe l’ho visto incantarsi davanti ad un fiore, al cospetto d’una mare adamantino specchio d’anima, davanti ad un occaso aranciato. Alcune sere è lui che guardando al cielo mi fa notare la pancia rotonda e luminosa della luna vagolante e lontana.

Nel corso della serata, la giovane cantautrice Andreina Capone ha cantato con soavità. Già altre volte ho avuto modo di sentire Andreina e devo dire che ammiro profondamente il suo registro sonoro, che sa mischiare impeto a compostezza. C’è poesia in Andreina. C’è poesia in Giuseppe, nel suo passaggio lento ma determinato da un mondo turbolento ad un porto di barche quiete. Alla fine della serata di presentazione, con Giuseppe, con Tonio Bisconti, con Claudio Rizzo ci siamo intrattenuti, e abbiamo deciso fraternamente di ritrovarci.

“La poesia è anche stratta di mano”, mi disse un giorno al Fondo Verri il poeta lucano Alfonso Guida. Con Giuseppe e con Tonio e con Claudio abbiamo lasciato San Pietro in Lama, e siamo andati a Lecce, a casa di Claudio. Tutti assieme abbiamo condiviso quattro pizze margherite con peperoncino. Claudio mi ha rammentato che il Gesù cinematografico di Ermanno Olmi de “I cento chiodi”, venuto a vivere sulla terra in questo tempo superficiale e indifferente, a un certo punto diceva: “Vale più un caffè preso con un amico, che tutti i libri del mondo”. Parole sante. Vale più una pizza spezzata con mani compagne con un gruppo di amici, di tutte le ricchezze dell’universo. Claudio, Tonio, Giuseppe, sono artisti della vita, perché intendono la loro esistenza come un’opera d’arte, non omologabile al fluire frenetico e indolente del giorno. Meglio una pizza divisa con amici che quest’assurda, tremenda ansietà nel petto che a volte ci serra, e non ci fa edificare alcunché di positivo. Mauro Marino, anni fa, quando era direttore de “Il Paese Nuovo”, scrisse un bellissimo mattinale, in cui sosteneva sostanzialmente che “il dono è cosa da poeti”. Effettivamente, donare tracce sensibili di sé agli altri è una grande cosa. I miei tre amici, Giuseppe, Tonio, Claudio, sono tre grandi poeti, perché essi mi sanno donare parti del loro tempo e della loro identità, in perenne divenire. Con un loro sorriso mi salvano la vita.