di Marcello Buttazzo

Giorni fa, Dominique Velati, malata terminale, irreversibilmente sofferente, ha deciso liberamente di porre fine ai suoi giorni: è ricorsa al suicidio assistito, in Svizzera, grazie al sostegno e al contributo economico dei Radicali. Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, si è autodenunciato ai Carabinieri italiani per questo gesto di disobbedienza civile e rischia fino a 12 anni di reclusione. C’è chi inevitabilmente vorrà tirare in ballo la mansione etica, perché quando si discetta di vita che finisce, di vita che sfiorisce, le fondamenta più intime vengono scosse. Qualcuno necessariamente farà appello ad un nervo scoperto, ad una tematica molto sensibile, per agitare paure, per preconizzare fantasmi. Di certo, si riapre in qualche modo il delicato dibattito sul “fine vita”, che è terra travagliosa, fragile, di confine. Che va maneggiata con amore, con estrema cura, con contegno, con discernimento. Senz’altro, non con la bieca e crassa volgarità, con cui certa classe politica e parlamentare, anni fa, affrontò il caso di Eluana Englaro. In quell’occasione, alcuni titolati rappresentanti delle istituzioni, appellando impropriamente all’aspetto morale, diedero il peggio del peggio, non capirono il dramma di Beppino Englaro e della moglie Saturna, strumentalizzarono la visione fissista della Chiesa cattolica e i dettami dell’etica tradizionale per un minimo tornaconto. Ma il tempo passa. Oggi s’ode un silenzio assordante. Il dibattito sulla “dolce morte” continua solo, sporadicamente, sui giornali cattolici, nei Comitati di bioetica, nelle accademie. Epperò, senza entrare nella lacerante discussione sulla sacralità o sulla eventuale, in certuni casi estremi, disponibilità della vita umana, è evidente che nella fattispecie( la storia di Dominique) la questione sia anche e soprattutto politica. Dal 2013, giace silente in Parlamento una proposta di legge pro eutanasia, depositata dagli attivisti di via di Torre Argentina, che meriterebbe quantomeno una dettagliata e attenta discussione. Parimenti, dovrebbe essere ascoltata la richiesta dei cittadini di pervenire a opportune dichiarazioni anticipate di trattamento. Del resto, molti Comuni d’Italia, regolarizzando i registri sul testamento biologico, vogliono più che altro sollecitare i politici ad assumersi responsabilità e decoro civile. Il governo dell’ex “rottamatore” Renzi, baldanzoso riformista in camicia bianca, ha messo a tacere fragorosamente l’agenda bioetica. Ma non si campa di sole riforme restrittive sul lavoro, di interventi artificiosi sulla buona ( o pessima?) scuola, su salvataggi prodigiosi per le banche e per i banchieri. La vita è spazio aperto d’ampio spettro. Il “fine vita”, prima o poi, andrà analizzato politamente e pacatamente, come avviene nei principali Paesi del mondo. Al cospetto poi del fenomeno esistente da noi dell’eutanasia clandestina e di mani pietose che, talvolta, alleviano sofferenze tormentose a malati terminali, sarebbe il caso di riavviare placidamente il dibattito su una scottante tematica. Senza, però, ingenerare quel controproducente, improduttivo e aspro bipolarismo etico, che qualche anno fa caratterizzò lo scontro sul testamento biologico, ai tempi del governo Berlusconi. Allora sterilmente e dolorosamente, qualcuno frammentò artificiosamente i cittadini in due fazioni: da una parte i sostenitori del “partito della vita”; dall’altra, i supposti fautori del nichilismo morale. Ma non è così, perché la vita vuole vita. E, soprattutto, nessuno si può permettere di fare dell’esistenza un ring per fini propagandistici. Quest’ultimo fatto è emblematico. Dominique Velati considerava ormai intollerabile l’esistenza. La libertà di scelta avrà pure un valore? L’autodeterminazione è rispettabile?

Marcello Buttazzo