di Mauro Marino –

Che bello!, finalmente possiamo godere di una scena teatrale articolata, libera, costruita – nella prova del pubblico – da attori capaci di proporre proprie scritture, dando corpo e senso a drammaturgie dettate dalle esperienze che, nella riflessione-confronto con la vita, possono divenire utili a liberare linguaggio, forme, stile.
“Cos’è l’amore?”, questa la domanda di “Mary Poppins. Basta poco” spettacolo scritto da Mauro Scarpa e da lui interpretato con Dario Goffredo. L’abbiamo visto in seconda replica, martedì 28 giugno, tra i libri della Icaro bookstore (scelta (penso) volutamente poco teatrale), nel giorno che ricorda la rivolta di Stonewall (giugno 1969, New York) considerata simbolicamente il momento di nascita del movimento di liberazione gay moderno in tutto il mondo.

L’amore ha molto a che fare con il teatro, sarà perché il corpo è lì, vivo, presente, pronto nell’atto con tutti i suoi limiti e tutte le sue virtù, nella sua particolarità e unicità. Sarà per la prossimità del pubblico; sarà perché c’è chi si dona e chi accoglie. Sarà perché il teatro solo nell’intimità svela la sua portata e per intero il suo fare generativo.
Lo spettacolo di Scarpa e Goffredo “gaiamente” racconta una storia d’amore, un serrato susseguirsi di siparietti, piccoli assoli, gags a due e esilaranti “senza parole” fatti di gestualità minima, di attese, di sospensioni danzate come quella straordinaria e minimale in apertura di Goffredo o quella, sempre sua, con giubba di pelle e occhiali da farfalla, o come la compensazione bulimica dell’abbandono messa in scena da Scarpa.
Una drammaturgia frontalmente legata ai temi della sessualità e dei legami: il “lascia e prendi” di una coppia omosessuale (ma potrebbe benissimo essere una coppia etero) in un gioco delle parti tenuto in surplace dentro e fuori gli stereotipi così come accade nella vita “vera” di là dal sipario. Frammenti di una tessitura densamente poetica nelle pieghe del testo: “Vogliamo meraviglia, ce la meritiamo tutti” oppure “Il problema non è essere diversi, ma felici” senti dire dagli attori in un divenire via via sempre più definito e serio fino a che, quello che s’è definito stereotipo, muta in una qualità altra, in altro percepire e rappresentare la vita nelle sue possibilità di incontro dove l’interrogazione sull’amore si risolve nell’amore.