di Marcello Buttazzo –

Sempre amai la notte, il suo velario di stelle silenziose e assorte, la falce di luna appesa al cielo per magnificare lo splendore della Natura. La Natura è benigna, asseconda gli umani nelle loro minuscole aspettative, li vezzeggia di continue chimere, di sogni, di speranze. Sempre amai la notte e il segreto che intimamente si cela nello scuro: quella gemma maliarda dal fianco femmineo s’accendeva di notte, faceva vibrare lo spazio e il tempo, capovolgeva clessidre, arrestava il momento, sconvolgeva scenari, scapigliava i ragazzi per strada. Quella musa benedetta, reale e immaginifica, vive ogni notte, percorrendo, trasognata, la mia terra. La terra di rosso. Il rosso della sua anima. Sempre amai la notte, le passeggiate solitarie con lei, che mi schiuse il mondo e divenne maga del mio stretto sentiero. La notte è depositaria del sogno a occhi aperti, lo straniamento diventa partecipazione e lo scontento non esiste: è gioia, ebrietà di rinnovate corde. Amai sempre la notte e il lento procedere del pensiero. Lo stallo del sentimento non alloga nelle spire della notte, perché ogni istante è palpito, trasalimento, vertigine che scuote e rende vigili. Una notte venisti vestita di sole, avevi per me un canestro di infinite parole, inesauste come il tuo bel pensiero. Venisti la notte, venisti di notte. E non mi lasciasti più solo. Ti conobbi una notte, il sapore della tua pelle, il colore dei tuoi occhi, il tuo gusto di mandorla intatta negli interminati giorni che non conobbi. Ma ti vidi di notte e, come se fosse la mia ultima notte, in quella casa nivea di paese, ti vegliai, ti custodii, ti tenni sul cuore. Qualche anno prima di conoscere te, vergavo versi disperati e inutili del tipo:

Quante volte
mi svegliai di soprassalto
in piena notte, col cuore in gola.
Quante volte di notte
sui sentieri dell’improbabile t’incontrai,
sfiorai per un attimo il tuo esile viso
mi persi nei tuoi occhi di mare
mi confusi ascoltando le tue parole.
Quante volte
tu mi parlasti dei tuoi amori da niente
ed io, anima innamorata, a giocare con te.
Quante volte ti vidi, mia cara,
vestita di bianco, abbracciata ad un altro.
Tu, gioia amore dolore passione
mio insostituibile fantasma.

A volte, surrettiziamente riteniamo che un fantasma femmineo sia insostituibile, valga per sempre, sia eterno. Ma non è così. A una musa-fantasma può subentrare una donna reale, in carne ed ossa, piena di slanci e di visioni. Una donna d’amore, che all’occorrenza si può trasformare con il tempo in un nuovo inedito fantasma. E, comunque, quando amai la notte, amai te come donna di virtù. Da allora, sempre continuo ad amare e a desiderare la notte, perché quando l’affanno del lucore si spegne, mi sovvengono i giorni del grano, dei papaveri, dell’ultima incandescente estate, quando ancora la risacca tornava da me e mi portava le fanciulle coi capelli di spighe, l’odore di erbe, le creste di menta. Ancora amo la notte, le stelle assorte e il destino mi fa talvolta rincorrere memorie perdute. Seguo la scia della notte e mi ritornano i versi di Dino Campana:

Dentro l’occhio
Disumano
De la notte
Di un destino
Ne la notte
Più lontano
Per le rotte
De la notte
Il mio passo
Batte botte.