di Marcello Buttazzo –

Distraiti con me, finché il raggio è duro e luminoso,
finché il corpo, come un raggio,
non è semplicemente un portatore,
ma una sorgente intera,
una chiave cercata,
l’ammasso di punti ardenti.

Versi roventi, furenti di passione, che s’incendiano nel loro incedere piano e chiaro. Versi infuocati e scanditi dal ritmo, che si dispiega in uno svolgersi di accadimenti quotidiani. Così si può capovolgere il vaso, il cuore può cominciare a battere come un setaccio, a un bordo del cuore si può accende il rosso, sotto una pietra dell’umida terra ci può essere tanto sangue. E ancora le foglie sono strette dalla pietra, a volte rimangono pelle e ossa, un’invisibile macchia vischiosa, niente più. Poesia è il ragazzino che guarda nell’acqua, la luce caduta e forse ubriaca, la passione prigioniera, la passione che emana lo spirito e sprigiona un aroma, l’anima defluita, quasi sedimentosa. Poesia è la lucciola, ciò che ci attende prima della morte, il blu chiarificato, quasi azzurro, la spina che non sa del dolore, non sa nulla della rosa, della vividezza della sensazione.

Aleksandr Malinin, poeta russo trentenne, vive a San Pietroburgo. La sua poetica è affascinante. Suoi versi sono stati pubblicati su diverse riviste e su vari siti letterari del suo Paese. Sono uscite, nel 2016, le sue raccolte “Il lieve battito del fiume” e “La rete a strascico”. Suoi versi sono stati tradotti in Italia. Conoscitore della lingua italiana, ha tradotto in russo alcuni autori italiani contemporanei. Aleksandr Malinin ha appena pubblicato (gennaio 2022, quarta edizione) la raccolta “Pelle e ossa”, per I Quaderni del Bardo edizioni di Stefano Donno, a cura di Paolo Galvagni.

Una silloge in italiano, comprendente anche il corrispettivo testo russo, che è un frammisto di canto lirico, di trovate linguistiche originali, di approfondimento del pensiero, di adesione fitta alla realtà, senza tuttavia che venga meno l’anelito del sogno e della fervente immaginazione. Le poesie sono brevi e, per certo impulso formale e per una brillante postura essenziale, rammentano i versi fotografici e musicali di Sandro Penna. Termini come fuoco, rosso, anima, luce, sono presenti in Malinin, perché il vitalismo e l’alacrità poetica sono predominanti. Ed è antropologicamente rilevante la sua operosità, dal momento che l’uomo, con le sue attese e con il tempo che scorre ininterrottamente, è il protagonista assoluto. Malinin è uno spettatore interessato e stupito delle cose della vita, degli eventi piccoli, che lui sa tramutare in occasioni da respirare e da vivere.

La sua poesia è elegante e, soprattutto, priva di orpelli, senza retorica, non conosce le complicanze ideologiche, le astrusità contenutistiche che potrebbero appesantire la pagina.

Lui è un poeta autentico e fresco, attento all’uso scientifico della parola, che è sempre una tessera che s’incastra perfettamente in un ordito ben riuscito.
Nella prefazione, Alberto Pellegatta, ad un certo punto, sostiene: “Il giovane poeta di San Pietroburgo non ha paura di scrivere d’amore e pronunciare parole come cuore; la sua costanza è premiata da testi davvero riusciti”. Possiamo anche dire che Malinin scrive d’amore non in modo usuale, mai canonico, ma secondo un registro innovativo e avanguardistico: “Rosso e secco, /terroso, novello/stagionato il cuore./Dovrebbe maturare e maturare in un punto buio,/ iniettarsi il sangue, ma non dissanguarsi/prima del tempo/”.  Aleksandr Malinin sa evocare gli istanti del tempo che fluisce, sa invitare al banchetto la vita e la morte, sa far danzare i giorni:

Svegliaci tutti,
alba,
ardi in tutti,
parla per tutti,
come incaricata per la luce:
l’uomo è l’angusta strettoia della morte.

Marcello Buttazzo