di Marcello Buttazzo –

Terra di sole d’estate, le notti afose non ti fanno dormire. Terra d’antiche Chiese, importanti, di santi protettori, della nostra madre, di radiosi conventi dove dissipammo il nostro vivere bambino. Terra dell’infanzia, della meraviglia, dello stupore fanciullo. Quante corse sfrenate ad inseguire un pallone sui selciati sterrati. Terra della giovinezza, quando lei era più d’un’ipotesi d’amore. Lequile, zolle rosse dell’anima. Terra assolata di complici ulivi. Trama aggrovigliata di fronde di limone, di acini d’uva, di rosse melagrane, il pino, l’eucalipto. Lequile è una coppa di piacere, di dolore, una fanciulla vestita di perle di luna, una chiazza infinita di cielo. Lequile, mille colori, infanzia rosa, stagioni perse, angeli di passaggio. Tu hai conosciuto i suoi seni di pesca, le sue gambe di giunco, il suo imene d’oro, dono d’un Dio lussureggiante. La mia terra, musa e stella. Mattutino barbaglio in spirali di fumo, muschio e spezia. La mia terra ha conosciuto l’infanzia del mondo, amori bambini, bastioni e guerrieri. Ha conosciuto antichi saggi contadini. Falò di sogni, di stoppie dorate. La mia terra ha vissuto il dolore e l’amore. Ha gioito al sole di infiniti violini. Ha pianto le lacrime di mille tempeste. La mia terra ha conosciuto Lei, angelo verde smeraldo, lingua di luna, ghirlanda di cielo. Nel solco marrone di zolle il tuo nome, terra mia. Sacra terra, come il lignaggio di tutti gli umani. Inviolata terra come le mani, le mani di lei intrecciate alle mie. Terra, terra mia, ti scorgo nei suoi occhi di cerva. Ti vedo nelle sue movenze felpate di gatta della luna. Nelle sue cosce di giunco, le scaturigini della tua essenza. Terra, terra mia, non farmi mancare mai il viso di lei. Lequile, terra del padre e della madre. Di chi mi donò le mansioni dell’accoglienza, dell’umanità, della semplicità, e le regole auree dello stare al mondo. Lequile, terra dell’ebbrezza e del dolore, delle cadute rovinose e delle risalite vertiginose. Terra che reca nel sangue un Dna di memorie, sempre calde, carezzevoli, confortanti. Ancora oggi amo respirare lo spazio e il tempo della mia Lequile. Talvolta, all’alba, esco per strada per recarmi al bar del risveglio. Con la frescura del primo mattino, l’amore mi naviga dentro. Penso alla mia musa. Tempo solitario, tempo di periferia, tu sei una terra di strade amate. Sei la terra dove resto e ritorno volentieri. E aspetto, ai bordi del mondo, il fluire dell’incerto destino.

Marcello Buttazzo