di Marcello Buttazzo –

“L’amore non finisce mai, si fa più piccolo che può”, riascolto piacevolmente una canzone di Roberto Vecchioni, che ripete come un mantra questo verso. L’amore non finisce mai, davvero. Amore per le persone care, per gli amici, per i conoscenti. Amore verso i viandanti, gli spiriti erranti, i vagabondi di questa terra. Amore verso i subalterni, i precari dell’esistenza, gli uomini e le donne indocili, i malfermi. Amore per la donna, tratteggiata come figura stilnovistica, in grado con il suo sguardo dolce di musa eterna di muovere le stelle di tutti i firmamenti, capace (lei sola, solo lei) di spiegare le ragioni intime del mondo. La donna e i suoi occhi di cerva e di cielomare. La donna e il suo corpo di pane. Lei e il suo pensiero possente, l’unico pensiero suscettibile di scardinare le porte del conosciuto e dell’inconosciuto. Amore per la Natura, che, con i suoi cicli ricorrenti, risorge sempre fascinosa come un’alba di rosa, al mare. La Natura e la luna pellegrina, meravigliosamente in fuga. La Natura e le stelle, che non stanno mai ferme e punteggiano la vita di ciascuno di noi. La Natura e la terra, questa madre terra ferita, violata, insultata, deturpata dalla prepotente e violenta mano antropica dell’uomo contemporaneo. Amore per il giorno, che si mostra e fiorisce d’improvviso con le sue aurore frementi. Giorno che sorge e assassina la notte. E come non rammentare quelle notti lunghe, lunghissime, interminabili, quando la stella dei pastori era solo un miraggio. Amore per il Cielo, per ciò che naviga oltre le nuvole, per quel fermento di spiritualità che non muore mai. “L’amore non finisce mai, si fa più piccolo che può”. Amore incondizionato per la musa divina, trasvolata nel suo altrove. Lei è sempre presente nei giorni e nelle venture quotidiane. La musa che ci consolò le lacrime e ricucì con ago d’amore l’antica ferita, è sempre viva, vibratile di sogno, è storia che non finisce. Mai. Ogni musa del tempo che fu e del tempo che è preziosa. Le mie muse (tutte) fanno germogliare di gialleggiante grano i miei piccoli versi. D’amore e disamore, di melanconia, d’ebbrezza, di gioia, di dolore. I miei piccoli versi intimamente devoti a ogni musa, che abbia voluto e voglia condividere lo spazio e il tempo. L’amore non finisce mai. È proprio così. Quando s’è preda dei turbamenti d’amore, dei travagli del sentimento, s’è indotti a credere erroneamente che l’amata (o l’amato) andata via verso altri lidi ci abbia deprivato di qualcosa, abbia addirittura portato via con sé l’amore. Ma l’amore davvero non finisce mai. Nessuna donna e nessun uomo, per quanto importanti e fondamentali, possono toglierci l’amore. Perché l’amore alloga in ciascuno di noi, è iscritto a lettere indelebili nella nostra anima. Il bello e il brutto, il ricco e l’indigente, sono portatori d’un progetto di vita (unico e irripetibile). Tutti, indistintamente, siamo amore. E l’amore non finisce mai, si fa più piccolo che può. Amore senza confine per gli ultimi di questa terra, per i diseredati, per gli oppressi, per i maltrattati, per i rifiutati. Amore per chi abbia desiderio infinito di dare amore, di donare amore, e magari non può farlo perché soverchiato da centomila congetture negative. Amore per il padre che ci insegnò pazientemente il senso del limite e quello di realtà. Amore per la madre che ci diede amorevole ricettacolo nel suo utero accogliente e ci protesse dagli insulti dell’ordinarietà. Amore per chi sfugge questa vita, a volte ferrigna. Amore per chi viene ghettizzato. Amore per il sogno, che è baluardo di libertà di venti soffiati sulle rosse bandiere dell’umana comprensione. Amore per la vita, questa vita terrena. Che, sinceramente, non so se sia l’unica che abbiamo. Ma, di certo, questa vita va protetta e amata più d’ogni cosa. Vita di corse e rincorse, di cadute, di risalite. Vita serafica come concerto di cicale schiattate d’arsura e di passione nella quiete meridiana. Vita veramente come sogno. Come sogno ad occhi aperti. Ritornano avvincenti e bellissimi i versi di Sandro Penna: “La vita…è ricordarsi di un risveglio/ triste in un treno all’alba: aver veduto/ fuori la luce incerta: aver sentito/ nel corpo rotto la malinconia/ vergine e aspra dell’aria pungente. / Ma ricordarsi la liberazione/ improvvisa è più dolce: a me vicino/ un marinaio giovane: l’azzurro/ e il bianco della sua divisa, e fuori/ un mare tutto fresco di colore. /”
Marcello Buttazzo