di Marcello Buttazzo –

Esistenza di faticosi respiri, si rincorse con la gola secca, di giri e giri con il fiato spento, con i sussulti dentro, con i trasalimenti nell’anima, che giungono all’improvviso come una grazia di Dio. Esistenza sofferta, perché la vita è anche sofferenza, è scalare con ardimento le montagne e, al contempo, scendere negli inferni più ardenti, negli strapiombi di turbolenti accadimenti. L’esistenza non è una passeggiata piana: essa contempera la felicità e lo scontento, i sorrisi di sole e la melanconia nel cuore, i giorni di perla e quelli ottenebrati dallo scuro più  scuro. Percorriamo a piedi nudi questa vita con piccole gioie, con piaceri più o meno duraturi, e con i ginocchi piagati. Dobbiamo rapportarci in continuazione ad un ambiente interno multiforme, in costante e perenne divenire, in equilibrio dinamico, a volte dolente per antiche, ancestrali ferite. Dobbiamo, altresì, schivare i colpi d’un ambiente esterno talvolta ostile, indecifrabile, contraddittorio. Un ambiente esterno che può mettere a dura prova la nostra integrità, può scuotere fino alla lacerazione il nostro connettivo più intimo. La vita umana è un teatro davvero variamente abitato, popolato: qualche volta luogo eletto della felicità, della soddisfazione, della partecipazione, della gratuità, del dono, dell’incontro, dell’amore; altre volte, luogo dei travagli, dei rancori, terra persa bruciata dai soli disperati, terra lontana, porto dei mille esili. Ogni individuo è consapevole di imboccare un cammino diversamente accidentato, di accostarsi ad una realtà che è vasta, di vivere la vita nonostante tutto. “La vita… è ricordarsi di un risveglio triste in un treno all’alba: aver veduto fuori la luce incerta: aver sentito nel corpo rotto la malinconia vergine e aspra dell’aria pungente”, cantava Sandro Penna. L’esistenza umana è sensazione mutevole, passione che erompe, anche nelle più gravose difficoltà può schiudere all’orizzonte le nuvole rosee. Come un’alba sognata, un’aurora fremente d’amore. In fondo, anche l’invalidante, globale, dilagante crisi economica, che colpisce indifferentemente giovani e meno giovani, dovrebbe invogliarci ad affrontare il giorno non con rassegnazione, ma con rinnovata attesa. Di qualcosa che verrà. Nel grande libro delle relazioni umane, ognuno di noi è chiamato a dare un contributo prezioso, a diffondere semi fecondi, virgulti di primavera. Siamo figli di questa madre Terra (l’unica che abbiamo) e siamo caratterizzati da un destino comune: quello di calarci nella Natura e di amarla con il carico dei nostri limiti, con i nostri piccoli pregi. Tutti siamo inclini, indipendentemente dall’etnia, dalla professione o meno di fede, dall’appartenenza sessuale e di genere, a esprimere compiutamente parti di noi, a lasciare agli altri tracce definite. È ricca una cultura composita e aperta, che sappia proporsi con fiducia all’altro da sé, che sappia rispettare ciascuno per la sua individualità, per il suo valore inerente. Non dobbiamo aver paura di traversare la quotidianità senza smarrimento, senza ansietà, con la corazza di saldi principi e valori, radicati ad una coerente e plurale etica del possibile, ricordando sempre che l’esistenza non è solo amore ma è anche dolore. Rammemorando magari le parole di Alda Merini, la grande poetessa dei Navigli: “Io la vita l’ho goduta a pieno, perché l’ho pagata a caro prezzo”.

Marcello Buttazzo