di Marcello Buttazzo – La pena di morte è una pratica selvaggia, ferina, che insanguina le contrade del mondo. Dalla Cina all’Iraq, dai Paesi africani all’America democratica e liberale, si ricorre ancora alla mano implacabile del boia per svariati reati. La ragione di Stato non conosce “ragioni”, non vuole critiche eccessive a una forma estrema di applicazione della “giustizia”. Ma quanto è variabile questa ragione di Stato, quanto arbitrario e atroce può essere l’intervento del potere dominante? In alcuni Paesi, può succedere che un omosessuale venga portato al patibolo solo a causa della sua appartenenza di genere; in altri, più aperti, ci si serve ancora della primitiva pena perché, nella concezione di certuni potenti, essa è sempre un efficace strumento di consenso elettorale. Durante la recente campagna elettorale per le Presidenziali in America, come era prevedibile, lo stramilionario repubblicano Donald Trump, in sintonia con la cultura forcaiola del suo schieramento di destra, s’è ovviamente espresso a favore della pena di morte. Ma ciò che fa ribrezzo è che, in quei giorni, anche l’aspirante presidente democratica Hillary Clinton sostenne che la barbara pena, in certuni casi, era eticamente accettabile, da sponsorizzare. Inoltre, nel liberale Paese a stelle e strisce, poco importa che ad essere “giustiziati” siano sempre i meno protetti, i senza parole, i neri, le minoranze etniche, i diseredati. Anche i disabili vengono messi a morte con iniezione letale. Contro la legge. Nonostante che nel, 2002, la Corte Suprema avesse proibito l’esecuzione di ritardati mentali, dichiarandola contraria all’Ottavo emendamento della Costituzione, lasciando però ai singoli Stati ampia libertà di azione. Ma quanto vale l’esistenza d’un uomo? La sacralità della vita umana è solo un principio retorico, un debole enunciato? È solo uno sterile assioma, che di fatto non deve essere rispettato nell’ordinarietà? Sulla immoralità, sulla brutalità, sulla inefficacia “educativa” della pena capitale ci sarebbe tanto da dire. Nel dicembre 2007, su sollecitazione delle associazioni abolizionistiche (in particolare, quella radicale Nessuno Tocchi Caino) e del Parlamento italiano, all’Onu venne approvata una moratoria per l’abolizione in tutto il mondo della barbara pena. Che, ovviamente, non poteva essere vincolante per tutti i Paesi. Purtuttavia, la via della persuasione sembra la strada maestra da seguire. Diversi Paesi, in questi anni, hanno mandato in pensione il boia. Purtroppo, in alcune zone del pianeta, dove governano regimi dittatoriali, conservative teocrazie, si pratica con troppa disinvoltura la medievale pena del taglione, anche per reati irrisori. Rattrista, soprattutto, che collaudate democrazie come l’America non esitino a “esportare” libertà e pace con la forza annientante di armi sofisticate, di missili intelligenti e micidiali, e ancora oggi utilizzino la feroce pena capitale per “regolare” questioni di giustizia. Dispiace che l’America non rispetti a pieno le norme internazionali e la Carta dei diritti umani. In Italia, Amnesty International e l’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino evidenziano costantemente l’importanza e l’efficacia d’insistere con la via diplomatica. Il segretario di Nessuno Tocchi Caino, Sergio D’Elia, da sempre usa parole convincenti e profetiche: “La pena di morte è ormai un ferrovecchio della storia dell’umanità di cui occorre finalmente liberarsi come ci siamo liberati dalla schiavitù e dalla tortura”.

Marcello Buttazzo