di Paolo Vincenti –

Forse spesso dimenticato ma cantautore di valore è stato Sergio Endrigo, uno dei padri della canzone d’autore italiana. Altissimo il suo spessore culturale, bellissima la sua voce, ricco e variegato il suo canzoniere. Esordisce con  il 45 giri “Non occupatemi il telefono –  Un disco e tu”, disco accreditato a “Riccardo Rauchi e il Suo Complesso” ma il suo primo album è  “ Sergio Endrigo”, del 1962,  e contiene “Io che amo solo te”, una delle sue canzoni più famose. All’interno vi sono anche canzoni molto importanti come “Aria di neve”, “Vecchia balera”, “Il soldato di Napoleone”, con una testo di Pierpaolo Pasolini tratto dalla raccolta “La meglio gioventù”, e ancora “Via Broletto”, che parla di un delitto a sfondo passionale, “La dolce estate” e “I tuoi vent’anni”. Sul booklet interno de disco, si legge, a firma di Gaio Fratini: “Dalla malinconia all’invettiva, dal paradosso al nonsense: lo stile di Sergio Endrigo non si presta a comode catalogazioni, così vivo, ingenuo, vario, instabile, incline sempre all’avventura. La voce di questo giovane cantante sembra giungere da molto lontano, estranea com’è ad ogni formula, ad ogni compiacimento. A riascoltarla, ci si convince sempre più di trovarci di fronte ad un’accorata vocazione musicale che ha poco o nulla da spartire con le mode e le civetterie della musica leggera d’oggi. Nato a Pola vent’otto anni fa, il neo-trovatore Sergio Endrigo sembra aver sostituito, nei suoi vagabondaggi per l’Europa, le corti provenzali con le balere e le stridette di periferia; l’”amor cortese” di classica memoria con quello più amaramente vero da cantare fino all’ultimo respiro: sentite con quanta dolcezza la sua voce evoca figure, psicologie ed umori del nostro tempo”

Il secondo album è intitolato “Endrigo” ed è del 1963 e contiene, fra le altre, “Annamaria”, “Era d’estate”, “Un giorno come un altro” e ancora “La rosa bianca”, traduzione dell’omonima poesia del poeta cubano José Martì tratta dalla raccolta Versos sencillos  e che diede vita alla celebre canzone Guantanamera, divenuta ormai l’inno nazionale cubano. Endrigo era nato a Pola nel 1933; quindi profugo, si trasferì con la sua famiglia a Brindisi e poi a Venezia, dove fece anche il fattorino all’Hotel Excelsior e all’Hotel Danieli.  Al dramma dei 350mila profughi istriani dedicò il brano “1947” pensando alla madre e agli anziani che erano stati costretti a lasciare la loro terra. Cantante nei night, fu il discografico Nanni Ricordi ad accorgersi di lui e a scritturarlo. Arrivò così, dopo alcuni anni di gavetta, al suo primo successo, “Io che amo solo te”, cantata poi anche da Ornella Vanoni, da Enzo Jannacci e da tanti altri fino a Fiorella Mannoia.

Scrive Ciro Dansotti sulla copertina del suo secondo album: “ L’origine istriana è, in Sergio Endrigo, un connotato fondamentale: degli istriani ha non solo i principali caratteri fisici (capelli chiari, figura asciutta, lineamenti sottili ma marcatissimi), ma anche quella sottile malinconia che alla gente d’Istria hanno conferito secoli di acrobatica esistenza a cavallo di due razze che d’imparentarsi non ne hanno mai voluto sapere. La povertà di un istriano è diversa dalla povertà di chiunque altro: suscita eco remotissime, suggerisce ricordi, favorisce meditazioni. Endrigo ammette volentieri di essere stato povero e parla senza reticenze, ma anche senza retorica, della sua lunga gavetta di cantante di “balera” prima e di night-club dopo. Destino ingrato in entrambi i casi, perché Sergio non ha mai avuto lo stile sanguigno tanto gradito al pubblico delle “balere” né quello smaltato e caramelloso spesso apprezzato dai clienti di un night. È piaciuto per anni, tuttavia, ad entrambi i pubblici. Perché? Perché il talento interpretativo, quando è autentico, smussa anche gli angoli dei gusti più radicati. La favola suggestiva e facile di un Endrigo “esploso” improvvisamente dal nulla va sfatata: i tentativi, prima del suo ingresso nella scuderia RCA, per librarsi fuori e al di sopra dell’atmosfera fumosa e sofisticata (ma impegnata ogni sera a ripetere se stessa) dei nights erano molteplici: fu Nanni Ricordi (un discografico che ha eliminato molte curve dalla strada dei nostri migliori cantautori) ad accordargli per primo fiducia, una fiducia che Sergio mostrò subito di meritare ampiamente con “I Tuoi Vent’Anni” e “La Brava Gente”. Da quel momento le impennate delle sua carriera sono troppo note per dover essere ricordate, ma vale la pena di sottolineare come il cantante abbia conservato miracolosamente intatto, attraverso anni di routine, un mondo poetico ora dolente ora giocoso, ma sempre ricco di una sconcertante freschezza che dà ad ogni sua canzone lo smalto affascinante della originalità”.

Nel 1965, compose uno dei suoi brani più belli, “Te lo leggo negli occhi,” interpretato da Dino e da Giorgio Gaber e poi, molti anni dopo da Franco Battiato nel suo album “Fleurs”. Nel 1966, ancora un album, nel quale sono compresi “Girotondo intorno al mondo”, “Adesso sì”, “La donna del sud”, “Mani bucate”. Nel 1968 nell’album sempre intitolato “Endrigo” compare uno dei suoi capolavori, “Canzone per te”, insieme ad altre pregevoli tracce come  “Il primo bicchiere di vino”, “La tua assenza”, “Marianne”, “Il treno che viene dal sud”, “Canzone della libertà”. Con “Canzone per te”, vinse Sanremo nel 1968. Al festival della canzone partecipò anche l’anno successivo, arrivando secondo con “Lontano dagli occhi” e ancora nel 1970 quando fu terzo con “L’arca di Noè”.

Nel 1969 pubblica “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”. Forse mai come in questo album musica e letteratura si uniscono insieme.  Un poeta della canzone come Sergio Endrigo si unisce a due veri e grandi poeti come Giuseppe Ungaretti e Vinicius De Moraes, quest’ultimo anche cantautore, e a musicisti di prim’ordine come Baden Powell e Toquino. Un disco assolutamente rivoluzionario per l’epoca,  molto in controtendenza rispetto alla musica che si ascoltava fino ad allora. Intanto perché i testi sono davvero visionari, alti, molto ermetici, e portano la firma di autori poco conosciuti in Italia, come i brasiliani Toquino e Vinicius De Moraes, oppure di autori per niente conosciuti in qualità di scrittori di canzoni, quale appunto Ungaretti. E poi perché alle parti cantate si uniscono parti strumentali e parti recitate, solo voce senza accompagnamento musicale. Un disco sperimentale come poi tanti altri ce ne sarebbero stati negli straordinari e creativi anni Settanta. Queste le tracce contenute nel disco. Samba delle benedizioni (Samba da benção) , scritta da Baden Powell, Vinicius de Moraes, Sergio Bardotti, è cantata in italiano da Vinicius de Moraes. Questa canzone, da cui è tratto il titolo del disco, è un vero capolavoro, il gioiello dell’intero album, ripresa anche nel finale nella versione originale in portoghese. Chi sono io se non… ,scritta da Vinicius de Moraes con traduzione di  Giuseppe Ungaretti, è recitata proprio dal grande poeta Ungaretti. Serenata dell’addio (Serenata do adeus), strumentale, di  Vinicius de Moraes, è suonata da Toquinho. Oh che cos’è in me… di Vinicius de Moraes, con traduzione di Giuseppe Ungaretti, è recitata da Ungaretti. Perché (O que tinha de ser), di Antonio Carlos Jobim, Vinicius de Moraes, Sergio Bardotti, è cantata da Sergio Endrigo e Toquinho. In te amo, di Vinicius de Moraes, trad. Giuseppe Ungaretti, è recitata da Ungaretti.  Poema degli occhi (Poema dos olhos da amada) , scritta da Paulo Soledade, Vinicius de Moraes, Sergio Bardotti, è interpretata da Sergio Endrigo e Toquinho. Che cos’è il mio amore? , Vinicius de Moraes, trad. Giuseppe Ungaretti, è recitata da Giuseppe Ungaretti ; Felicità (A felicidade) , di Antonio Carlos Jobim, Vinicius de Moraes, cantata da Vinicius de Moraes, Poetica I , di Vinicius de Moraes, trad. Giuseppe Ungaretti,  recitata da Vinicius de Moraes e Giuseppe Ungaretti; La casa (A casa), Vinicius de Moraes, Sergio Bardotti, cantata da Vinicius de Moraes, Sergio Endrigo e coro di bambini; La marcia del fiori -, Vinicius de Moraes, Sergio Bardotti su un tema di J.S.Bach , cantata dal Coro di bambin; Deixa, Baden Powell, Vinicius de Moraes, suonata da Toquinho (strumentale); Sonetto dell’amore totale (Soneto do amor total), Vinicius de Moraes, trad. Giuseppe Ungaretti), recitata da Giuseppe Ungaretti;  Se tutti fossero uguali a te (Se todos fossem iguais a você), Antonio Carlos Jobim, Vinicius de Moraes, Sergio Bardotti, cantata da Sergio Endrigo;  l giorno della creazione (O dia da criação), Vinicius de Moraes, trad. Sergio Bardotti, cantata da Vinicius de Moraes;  Samba delle benedizioni (Samba da benção) – Finale, Baden Powell, Vinicius de Moraes, Sergio Bardotti, suonata da Vinicius de Moraes.

Nel 1970 esce “Nuove canzoni d’amore”, con “La prima compagnia”, “Quando tu suonavi Chopin”, “Le parole dell’addio”. Nel 1973 pubblica “L’arca”. Anche questo è un disco rivoluzionario che va contro tutti i canoni della musica leggera, nella quale comunque si inscrive. Intanto perché è un disco collettivo, cantato da vari artisti sotto la guida di Endrigo, ideatore del progetto. In secondo luogo, perché si tratta di un disco di canzoni per bambini, dedicate agli animali, uno dei primi della storia, composto da canzoni originali di Vinicius De Moraes tradotte e adattate in italiano da Endrigo. Ecco la track list: L’arca (Vinicius De Moraes – Sergio Endrigo – Ricchi e Poveri – The Plagues), Le api (Vittorio dei New Trolls – The Plagues) , Il gatto (Marisa Sannia – The Plagues) , Il pappagallo (Sergio Endrigo – The Plagues) , La papera (Vinicius De Moraes – The Plagues) , La foca (Vittorio dei New Trolls – Franco dei Ricchi e Poveri – The Plagues) , La pulce (Vinicius De Moraes – The Plagues) , La bella famiglia (The Plagues), San Francesco (Sergio Endrigo – The Plagues), L’orologio (Vinicius De Moraes – The Plagues) , Il pinguino (Marisa Sannia), Piccinina (Vinicius De Moraes). Le canzoni, come detto, vengono adattate da Endrigo in collaborazione con Sergio Bardotti e Luis Bacalov, che cura anche gli arrangiamenti. E sempre nel solco delle canzoni per bambini, nel 1975 pubblica l’album “Ci vuole un fiore”, con testi scritti interamente dal poeta Gianni Rodari. Endrigo in collaborazione con Luis Bacalov scrive le musiche. Il disco ebbe straordinario successo ed è infatti ricordato ancora oggi.

Considerato nell’immaginario collettivo come un cantautore malinconico, triste, un po’ ripiegato, per via di quell’aria meditabonda e quell’aspetto da gentleman inglese che lo caratterizzavano, in realtà uomo gioviale, allegro, simpatico, come unanimemente confermano coloro che lo conoscevano, Endrigo però fece fatica a levarsi di dosso quell’aura, determinata anche dal contenuto spesso triste delle sue canzoni nelle quale l’ombra della morte era spesso evocata, ma sempre con accenti poetici e con l’eleganza dello chansonnier francese.

Nel 1974 pubblica uno dei suoi album più belli, “La voce dell’uomo”, con tracce quali “Da quando ero bambino”, “La voce dell’uomo” “Non sono le pietre colorate”, “Una casa al sole”, “Il mio west”. Nel 1975, pubblica un’antologia, “Dieci anni dopo”, sulla cui copertina compare una presentazione dello scrittore Giuseppe Berto il quale tra l’altro scrive: “La canzone di Endrigo è una canzone che precede la spesso rabbiosa esplosione sessuale moderna. È una canzone di sentimenti, trattati con pudore e prudenza, frenati dal timore di cadere nel sentimentalismo, ma talvolta anche lasciati liberi di esaltare una cosa tanto improbabile come la fedeltà. Canzoni di piccole cose, di parole che tutti diciamo, di pensieri che tutti abbiamo, anche se non tutti riusciamo ad esprimerli. E ovunque amore, il più sottile ed esclusivo, l’amore che è di ogni tempo, sebbene le sue apparenze nevroticamente mutino e si confondano”

Tre dunque sono gli interessi musicali nella carriera di Endrigo: l’amore, la musica brasiliana, le canzoni per bambini .  Compose infatti alcuni album in lingua portoghese, come “Exclusivamente Brasil”, “A Arte de Sergio Endrigo”, “En Castellano”.

Pregevoli lavori sono anche “Sarebbe bello” del 1977 e “Donna mal d’africa” del 1978, carichi di poesia, significato, ma leggeri di una raffinatezza musicale che non stanca l’ascoltatore ma anzi lo lascia desideroso di scoprire ancor di più l’universo musicale di Endrigo. Questo schivo cantautore pubblicò nel 1981 “E noi amiamoci” in cui sono contenute “Trieste”, “Ciao poeta”, “Provincia”, “Inventario”.

Ma degni di attenzione sono anche i lavori successivi, “Mari del sud”,  “E allora balliamo” ( in questo disco compare “Canzone italiana”, portata a Sanremo del 1986), “Il giardino di Giovanni”. In questi album si sente ancor più forte la vena cantautorale che lo avvicina per intonazione e temi trattati a Guccini. Nel 1995 ha scritto anche un libro “Quanto mi dai se mi sparo?”(Stampa Alternativa).

A Terni si svolge da molti anni un Concerto Tributo a Sergio Endrigo, organizzato dalla moglie. Endrigo muore nel 2005 per un cancro ai polmoni.

Il cantautorato italiano è uno dei fenomeni artistici più importanti nell’ambito musicale. Fu un vero punto di svolta a cavaliere fra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi dei Sessanta. Di questo fenomeno, Endrigo fu uno dei padri, insieme a Bindi, Paoli, Tenco, De Andrè, Lauzi. La pubblicistica musicale si è arricchita molto negli ultimi anni e sono fioriti numerosi studi specifici sul cantautorato e monografici sui singoli cantanti. Tutta la critica specializzata infatti è concorde nel riconoscere i grandi meriti, non solo musicali, ma direi socio culturali, che ha avuto il cantautorato. A maggior ragione, degna di essere conosciuta e approfondita, l’opera di Endrigo. Molto interessante in questo senso è il libro pubblicato dalla figlia, Claudia, “Sergio Endrigo, mio padre artista per caso”, con Prefazione di Claudio Baglioni (Feltrinelli 2015). Egli è stato un cantante pop nel senso più popolare del termine, sebbene negli ultimi anni trascurato e ingiustamente uscito dalla memoria collettiva. Ma grazie agli omaggi postumi decretati dai suoi colleghi, che numerosissimi hanno reinterpretato le sue canzoni, e all’opera della figlia Claudia, la voce e la poesia di Sergio restano vive.