di Antonio Stanca –

Una serie di quadri, di scene improvvise, momentanee è Sottovoce, il breve volume della scrittrice e poetessa americana Sarah Manguso scritto nel 2007 dopo le prime opere in versi e prima della produzione narrativa. Anche Sottovoce, che quest’anno è stato proposto dalla casa editrice Enne Enne di Milano con la traduzione di Gioia Guerzoni, ha forma narrativa ma è una narrazione continuamente interrotta, frammentata, sempre diversa, sempre nuova negli argomenti. Sembra di leggere appunti di viaggio ed invece sono quei pensieri, quei sentimenti, quei ricordi, quegli stati d’animo, quelle immagini, quelle considerazioni, quelle valutazioni, quelle riflessioni che spesso tornano alla mente perché di essa fanno parte, da essa sono state registrate fin dai primi anni della vita di ognuno, dalle prime esperienze e da essa emergono a volte senza essere richiamate.
La Manguso è nata nel Massachusetts nel 1974, si è laureata ad Harvard ed a Los Angeles vive e svolge la sua attività. Ha scritto poesie, memoir, racconti, romanzi per i quali ha ottenuto importanti riconoscimenti.

Sottovoce, poiché segue le prime raccolte poetiche e precede le prime narrazioni, sembra voler rappresentare questo momento di passaggio, di cambiamento avvenuto nel percorso artistico della Manguso. Ed, infatti, tra poesia e prosa rimangono sospesi i brevi brani che compongono Sottovoce. E’ così raffinato, così elaborato il loro linguaggio da rendere difficile un giudizio circa il genere letterario al quale riportarlo. In una nota finale la Guerzoni dice di aver tradotto Sottovoceinsieme all’autrice, di essersi impegnate in un interminabile lavoro di pulizia verbale, di sistemazione linguistica, di aver proceduto come nella realizzazione di un oggetto prezioso. Non c’è nell’opera nessun difetto, nessun peso, tutto procede con la facilità, la leggerezza, la levità propria della perfezione. Tutto stupisce, tutto incanta. Visioni, sogni sembrano quelli della Manguso di questo libro. E come le visioni, come i sogni durano poco, assomigliano ad istantanee che fanno vedere per un attimo momenti della sua vita di prima e di dopo, dei suoi tempi di bambina, di ragazza e di donna, fanno sapere dei bisogni del suo corpo e del suo spirito, di quanto visto, sentito, subito a casa, a scuola, fuori, di cosa voluto, pensato, negato, di piaceri e dolori, speranze e rinunce, aspirazioni e delusioni, di tutto quanto è avvenuto “sottovoce”, nel silenzio, cioè, della sua anima, nella sua interiorità.

Poco è lo spazio, poche le parole che la scrittrice concede ad ognuna di queste immagini, di queste illuminazioni che sono venute a presentarsi alla sua mente, a riportarla ai suoi tempi, a richiamarla alla sua vita. Sono brevi momenti che appaiono e scompaiono, che non si concludono, non finiscono mai, che mai si fermano, si fissano. E sospesi, indefiniti, trasparenti rimangono sempre. Non smettono, però, di valere, di avere una loro funzione, di rappresentare quegli elementi, quelle parti tra le quali inizia, procede, si forma la vita dell’anima, di ogni anima. E che la Manguso abbia voluto rappresentare, tramite la sua, questa vita non può che tornare a suo merito poiché ha reso visibile ciò che non lo è ed ha creato il modo, il linguaggio più adatto per esprimerlo.

Antonio Stanca