di Antonio Stanca –

A settantasei anni lo scrittore francese Daniel Pennac ha scritto La legge del sognatore, romanzo che lo scorso gennaio è stato pubblicato in Italia dalla Feltrinelli nella serie “I Narratori”. La traduzione è di Yasmina Melaouah.
Nato nel 1944, dopo un’infanzia e un’adolescenza piuttosto disordinate a causa del suo carattere irrequieto e delle sue mancate attitudini, Pennac maturo acquisirà una maggiore capacità di applicazione, si laureerà, si stabilirà a Parigi e nelle scuole di questa città svolgerà la sua attività d’insegnante. Saranno soprattutto scuole di periferia, saranno quelle che gli permetteranno di stare a contatto con le fasce della popolazione più povera, più umile, con la gente che soffre la separazione, l’esclusione dalle condizioni sociali generalmente diffuse. Da qui gli verrà, intorno agli anni ’80, l’ispirazione per la serie di romanzi di Belleville, quelli che hanno come protagonista Benjamin Malaussène nella parte del capro espiatorio e che renderanno Pennac famoso in tutto il mondo. Molti saranno i riconoscimenti che otterrà. Altri romanzi scriverà, racconti, saggi, libri per ragazzi, teatro. Agli anni settanta risale l’inizio della sua attività letteraria e allora si era rivolto soprattutto alla fantascienza e ai fumetti oltre ad opere di polemica riguardo alle istituzioni militari. Dalla realtà ma anche dalla fantasia ha attinto Pennac scrittore. La realtà della vita, della società, della storia è stato il motore della sua produzione ma non è mancata in questa l’invenzione, l’evasione verso mondi immaginari anche se non vi sarebbe rimasto solo a immaginare ma avrebbe cercato come sempre di valere, di significare.

Sarà stata questa la strada che lo ha portato a scrivere ultimamente La legge del sognatore, un romanzo completamente sognato. Tutto quanto viene rappresentato nell’opera, vita del protagonista, sua casa, sua famiglia, scuola, esperienze di ogni genere, è alla fine spiegato come una serie di sogni. Disposto, propenso a sognare si scoprirà quel protagonista una volta diventato adulto e accortosi che quanto aveva creduto vero era stato un sogno. Era successo come nei film di Fellini, si era sognato, non si era vissuto. A Federico Fellini dice di assomigliare questo personaggio del Pennac, al regista italiano che ha fatto del sogno il tema, il modo del suo cinema. Come Fellini nel cinema così lui nel romanzo, del quale è pure autore. Questa esperienza ha voluto fare, stare nel sogno, andare oltre i limiti dello spazio e del tempo, entrare a far parte dell’infinito, dell’eterno. Con i sogni ha costruito l’opera, con essi si è procurato una dimensione irreale, fantastica, ha acquisito un altro modo di essere. Non hatrascurato i sogni, li ha recuperati e narrati perché convinto che valgano, che contengano significati importanti, che anche la loro sia vita.

Dirà, quindi, nel romanzo di due modi di essere, quello vissuto e l’altro sognato, anche se non chiarirà a quale vorrebbe appartenere, quale considera più importante, migliore.

Autobiografico, originale ma molto ambiguo!

Antonio Stanca