di Antonio Stanca –

In un breve saggio di poco più di cento pagine, Tempo senza scelte, pubblicato a Settembre del 2016 dalla casa editrice Einaudi di Torino, nella serie “Vele”, Paolo Di Paolo compie un percorso lunghissimo. Passa attraverso la storia, la letteratura, la filosofia, la cultura dei tempi più recenti, cita da tante opere di noti scrittori, poeti, filosofi, sociologi del passato più prossimo e giunge ai giorni nostri. Intento del Di Paolo è mostrare quanto è stato importante fino a tempi a noi vicini perseguire in ambito intellettuale un obiettivo, proporsi una meta, stabilire, scegliere una via da seguire, come l’impegno intellettuale non sia valso solo per chi lo cercava ma per tutti, come dovesse avere un aspetto anche morale, civile, come un autore dovesse farsi carico di molte responsabilità, dovesse tener conto che tramite la sua altre vociparlavano.
Memorabili sono divenuti, infatti, alcuni personaggi, alcune situazioni, alcune espressioni di opere letterarie, fondamentali alcuni sistemi filosofici e tutto alle aspirazioni, agli ideali, alle scelte dei loro autori va fatto risalire. Anche la storia, scrive Di Paolo nel saggio, è carica di esempi di uomini, di donne che hanno deciso, hanno scelto, hanno agito e quanto hanno fatto è servito non solo a loro ma a tanti altri di allora e di sempre.
Si sceglieva, si operava perché si seguiva un’idea e lo si faceva consci delle responsabilità che si assumevano, dei principi che si osservavano, dei valori che si perseguivano.
Di Paolo ha trentaquattro anni, è nato a Roma nel 1983 e dopo la laurea in Lettere e un Dottorato di ricerca in Studi di Storia letteraria e linguistica italiana presso l’Università di Roma III, ha mostrato interesse e impegno in diverse direzioni. A ventunanni ha esordito nella narrativa con la raccolta di racconti Nuovi cieli, nuove carte, ha continuato come scrittore ma si è rivelato pure uno studioso di letteratura, di storia, un autore di teatro, un saggista, un giornalista che corrisponde con quotidiani e riviste.
Ha ottenuto numerosi riconoscimenti e ricorrente si può dire che sia nella sua produzione, di qualunque genere, il motivo dell’impegno che l’intellettualità deve assumersi di fronte alla vita, alla storia, della voce che deve far sentire contro quanto cerca di ridurla o sopprimerla. A questo argomento in maniera specifica è dedicato questo saggio. Qui più che altrove il Di Paolo insiste nel mostrare esempi, riportare avvenimenti, citare da opere affinché si possa dedurre quanto sia stato importante che uomini di lettere, di filosofia, di scienza, che uomini di azione politica, religiosa, sociale, abbiano scelto una direzione,abbiano, cioè, scritto, rappresentato, compiuto un’opera, che non si siano conformati con l’esterno, col costume diffuso ma abbiano pensato, agito,prodotto per sé, per un’idea che sarebbe diventata di tutti. I tempi avrebbero dato il giusto riconoscimento a questi casi, la storia avrebbe confermato il loro valore, sarebbero diventati essi storia.
Grave, pertanto, è stato assistere al sopraggiungere di tempi che li avrebbero messi in crisi, non li avrebbero più capiti, di “tempi senza scelte”.
Sono i tempi attuali, quelli della cultura di massa, della globalizzazione, della comunicazione telematica, sono i tempi che hanno annullato ogni singolarità in nome di una totalità comprensiva di tutto e di tutti, i tempi che hanno decretato il trionfo dell’esterno, della materia, l’obbedienza, la sudditanza ad essa di ogni interiorità, i tempi che hanno reso uguali tutti i modi di essere, di stare, di fare, che hanno eliminato ogni differenza e, quindi, ogni possibilità di scelta, che tutto hanno reso uguale, tutto  hanno ridotto a poco, di ogni progetto, di ogni ideale si sono fatti scherno, si sono beffati.
Profondo, grave è il rammarico col quale lo studioso giunge alla conclusione del suo saggio, cioè a queste considerazioni. Non vorrebbe ma è costretto a riconoscere che si è ormai a questo stato di svilimento e che non si può prevedere nessuna soluzione.
Lui, Di Paolo, che dell’impegno ha fatto una costante del suo lavoro di autore e di studioso, si vede costretto ad arrendersi alla volgarità, alla barbarie di un’umanità che ha scelto di essere tale, che se ne compiace e non mostra di volersi ricredere.

Antonio Stanca