di Antonio Stanca –

La poesia è di tutti è il titolo della nuova serie di brevi antologie poetiche, curate da Daniele Piccini, che dal mese scorso sono cominciate a comparire insieme al Corriere della Sera. Il primo numero è stato dedicato al poeta cileno Pablo Neruda e le poesie che contiene sono state tratte dalle raccolte Odi elementari del 1954 e Stravagario del 1958. Non sono molte ma sono state scelte con tale cura da permettere di constatare come procedeva Neruda nei suoi versi, cosa si proponeva. Alla conoscenza del poeta assolve pure la nota introduttiva del Piccini.

Durante gli anni ’50, quelli delle due raccolte, Neruda era in piena attività letteraria. Era rientrato in Cile, nel suo rifugio di Isla Negra, Valparaíso, dopo essere stato in esilio in Messico e in viaggio in molti paesi europei compresa l’Italia.

In precedenza, a partire dal 1926 quando era stato console in India, aveva pure svolto attività diplomatica. Dal 1934 aveva fatto parte dell’ambasciata cilena in Spagna e qui era venuto a contatto con Alberti, Lorca e altri poeti di parte repubblicana. Con loro aveva collaborato durante gli anni della guerra civile, si era assunto impegni politici, editoriali. Aveva da tempo cominciato a scrivere poesie. Nato a Parral, Cile meridionale, nel 1904 da modesta famiglia, aveva, ora in Spagna, trent’anni e la poesia e l’impegno politico rappresentavano ormai i suoi interessi principali. Lo sarebbero sempre stati. Sarebbe morto nel 1973, l’anno che aveva visto l’amico e presidente repubblicano Salvador Allende cadere vittima di un attentato ordito dal rivale Pinochet. Nel 1970 Neruda era stato nominato ambasciatore a Parigi, nel 1971 aveva ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura, nel 1972, gravemente ammalato, era rientrato in Cile. Fino alla morte erano continuate a comparire sue opere. L’esordio vero e proprio, la prima pubblicazione, Crepuscolario, era avvenuta nel 1923.

Per cinquant’anni aveva continuato a scrivere soprattutto di poesia ma aveva pure svolto incarichi, impegni in politica nazionale e straniera, aveva viaggiato moltissimo, la sua era stata anche poesia sociale, aveva criticato i sistemi, i costumi della borghesia, perseguito ideali di libertà, di uguaglianza. Il vero poeta, tuttavia, era stato quello dei sentimenti più profondi, più intimi, delle poesie d’amore più intense, più appassionate dove aveva detto degli elementi primi della natura, la terra, l’aria, l’acqua, la luce, le piante, gli animali, il sole, il vento, i colori, i paesaggi ed ogni altro. “Elementari” in questo senso sono da intendere le sue “odi”, degli elementi che stanno all’inizio, che vengono prima di tutto vogliono dire, dell’amore che ad essi deve unire come alla persona amata, una sola cosa devono diventare. Così scrive in alcune poesie di questa antologia, così ha scritto in altre prima e dopo. Era un senso di meraviglia, di stupore, era una condizione d’incanto, di estasi quella che Neruda voleva ottenere con le immagini dell’amore completo, totale, unico. Era da un animo modellato, raffinato da tante conoscenze, da tante esperienze che esse provenivano. La sua vita e la sua opera erano procedute sempre insieme, l’uomo e il poeta non si erano mai separati, si erano sempre combinati. Di amore era vissuto Neruda, di amore aveva scritto fino a immedesimarsi con la sua scrittura, annullarsi in essa, farne la propria anima. Sospiro, trepidazione, preghiera era per lui poesia perché amore era. Di brevi, piccole frasi spesso era fatta, di parole isolate, a volte solo accennate come appunto quelle dell’anima.

Antonio Stanca