di Antonio Stanca –

Era il 1953, aveva trentadue anni, quando Mario Rigoni Stern divenne noto al gran pubblico non solo italiano col romanzo Il sergente nella neve. Ricordi della ritirata di Russia. Narrava di quando aveva partecipato, quale sergente degli alpini, alla campagna militare contro la Russia durante la seconda guerra mondiale. Insieme ai suoi e ad altri soldati aveva compiuto quella tragica ritirata tra immense distese di neve. Una testimonianza tra le più significative di quel grave avvenimento era risultata l’opera e Rigoni Stern si era fatto conoscere per quella che sempre sarebbe stata la sua scrittura. Semplice, immediata, vicina a quanto accade e pure capace di trasferirlo in una dimensione più ampia, di procurargli quella distanza, quella risonanza che è propria della favola, del mito, dell’epica. Il romanzo vinse il Premio Viareggio Opera Prima (1953) e il Premio Bancarellino (1963), fu tradotto in molte lingue, fu proposto per una riduzione cinematografica ma fu anche seguito da un lungo periodo di silenzio da parte dell’autore. Solo dopo molti anni avrebbe ripreso a scrivere racconti e romanzi che pure avrebbero ottenuto riconoscimenti e traduzioni. Sarebbe diventato, Rigoni Stern, uno dei maggiori scrittori contemporanei, sarebbe tornato più volte, nelle sue opere, sul tema della guerra e sull’altro dei suoi luoghi d’origine, l’Altopiano di Asiago, le sue contrade, le sue case, la sua gente, i suoi pastori, i suoi boschi, i suoi fiumi, le sue colline, la sua storia, la sua vita, tutto quanto gli era appartenuto e ancora gli apparteneva, tutto quanto costituiva la sua identità, ne faceva un’entità etnica unica, distinta.

Ad Asiago, in provincia di Vicenza, sull’Altopiano dei Sette Comuni era nato nel 1921 e qui sarebbe morto nel 2008. Era il discendente dell’ultimo cancelliere della Federazione dei Sette Comuni. Sarebbe rimasto sempre legato alla sua terra, vi avrebbe vissuto la maggior parte della sua vita, avrebbe formato la propria famiglia con figli e nipoti. Della leggenda sembreranno entrare a far parte quei luoghi nelle opere del Rigoni Stern e così avviene pure in Le stagioni di Giacomo che ora è stato ristampato dal Gruppo Editoriale GEDI per la serie “Storie di Montagna”. Al 1997 risale la prima edizione per conto della Einaudi, che avrebbe pubblicato tutte le opere dello scrittore.

Giacomo è un bambino di una delle contrade dell’Altopiano. La sua famiglia è povera come quelle dei suoi coetanei e compagni di scuola. La sorella Olga si era sposata molto giovane e col marito era andata in Australia in cerca di una vita migliore. Insieme alla Francia, alla Germania, alla Svizzera, all’America, l’Australia rientrava tra le nazioni preferite dagli emigranti che sull’Altopiano erano molti essendo divenute gravi le condizioni economiche alla fine della prima guerra mondiale. Gli anni ’20, ’30 sono, infatti, quelli del romanzo, gli anni seguiti ai gravi combattimenti, scontri armati, bombardamenti, che in quei luoghi più che altrove si erano verificati durante la guerra. Si viveva di pochissimo, della rendita di qualche piccolo campo, di qualche animale domestico, dei ricavati dai boschi, dei servizi prestati presso qualche ricco signore, qualche azienda, su comando del Municipio e soprattutto della vendita dei residui bellici, cartucce, pallottole, bombe esplose o inesplose, armi disusate, pezzi di ferro, di piombo, di rame, di tutto quanto dopo la guerra era rimasto per terra. Ora molti procedevano a ritrovarlo, dissotterrarlo, recuperarlo e venderlo per pochi soldi a chi ne faceva incetta e lo utilizzava, a volte fondendolo, per altri scopi. “Recuperanti” si chiamavano quelli che si dedicavano a questo lavoro ed erano tanti a causa dell’alto numero di disoccupati, della diffusa situazione di povertà.

Giacomo aveva cominciato a farlo fin da bambino insieme al padre Giovanni quando era tornato dalla Francia dove era emigrato. Anche ad altri lavori assolverà Giovanni ed anche Giacomo. Lo faranno mentre la madre e la nonna sbrigheranno le faccende di casa e provvederanno a quanto degli indumenti o delle altre cose andava riparato, aggiustato, adattato. Ma non è solo intorno a Giacomo e alla sua famiglia che si muove lo scrittore ché tante altre persone, tante altre situazioni, tante altre vicende di quei posti, di quei tempi mette in campo. Ritorna sempre a dire di Giacomo quasi fosse il filo conduttore della narrazione ma di molto altro dice pure: è ampio il periodo storico che fa da sfondo alla vita di Giacomo, lo vede bambino, ragazzo, giovane innamorato di Irene, alla difficile ricerca di una sistemazione nell’Italia fascista ed infine militare inviato in Russia e qui disperso. E’ un periodo che va dalla fine della prima alla seconda guerra mondiale, è uno dei più tristi della storia d’Italia e soprattutto dell’Altopiano di Asiago. Tramite Giacomo, tramite i suoi tempi, “le sue stagioni”, Rigoni Stern ripercorre tutto quel tempo, tutta quella vita, la fa apparire come la condizione di un intero popolo, di un’intera nazione, di un’epoca. Fa scorrere tanta storia in quella che sembrava solo la storia di un bambino, fa passare tante persone su quella che sembrava una strada solitaria e vi riesce perché tanto chiaro, tanto vero è quel che dice, tanto fa parte dello spirito, dell’anima che tutti vi si possono riconoscere, che di tutti giunge a diventare.

Antonio Stanca