Marcello Buttazzo –

Ho conosciuto Luigina Parisi, un po’ di tempo fa. Ci siamo rivisti, questa estate passata, presso la Biblioteca comunale “F.T. Gnoni” di Tuglie. Una donna gentile, Luigina, un animo cortese, un’amica sincera, avvezza a condividere il tempo e il passo del giorno. Nonostante solidi studi scientifici (è laureata in Scienze Biologiche presso l’Università di Bari), fin da ragazzina, si dedica alla scrittura, alla poesia in particolare. I suoi sono versi armonici e musicali.
Nel mese di febbraio 2020, Luigina Parisi ha pubblicato, per Vj Edizioni, Milano (“Collana Parole Nuove”), una raccolta di racconti, dal titolo emblematico “Malurmia”. L’Autrice, nella nota introduttiva, spiega esaustivamente il significato sostanziale del termine.

Malurmia è l’ombra, che traversa la vita di ciascuno di noi. In fondo, tutti noi che inseguiamo inattesi barbagli, improvvisi lucori, dobbiamo ritenere che sia proprio l’ombra a dare significanza alla luce. Nella nostra lingua madre dialettale, Malurmia è un’anima che vaga, forse incompresa, errante come le stelle, pellegrina. Diciamo, per l’appunto, una mal’ombra. È anche il termine scherzoso con cui le nonne scacciavano i bambini, quando bazzicavano loro intorno senza apparenti motivi. Malurmia è ciò che ci portiamo dentro, nel connettivo delle ossa, che ci consente, fra le altre cose, di alzare il volto al cielo, per perscrutarlo, per interrogarlo.

“Bisogna perdersi per trovarsi tra i vicoli contorti di recessi interiori”, canta Luigina. I protagonisti e le protagoniste dei suoi racconti sono anime salve, nonostante le tempeste, nonostante i venti turbolenti. Racconti che hanno il sapore della terra, il colore delle zolle marroni, il lapislazzulo del cielo, la trama cangiante del mare. Racconti d’un riverbero antico, dove intervengono con la loro saggezza pescatori, contadini, gente umile del popolo, che conosce la fatica e il dolore. Gente che conosce la dignità. Racconti psicologici, d’una antropologia vibrante. C’è chi compie un percorso quasi sophianalitico, alla ricerca del padre buono, da cercare magari fuori dalla famiglia tradizionale, canonica. E quanta umanità c’è in questo percorso! Quanti di noi hanno dovuto inseguire e ricostruire fuori, in altri lidi, il padre buono, capace di insegnare più d’ogni cosa il principio di realtà e il senso del limite.

Le figure femminili (penso a Maria, a Delia, a Tina) sono donne accoglienti, dotate d’un grembo materno, ben disposto a dar ricettacolo alle persone amate. Il leitmotiv, comunque, di tutti i racconti è l’amore, che erompe in tanti frangenti: nella storia d’un corteggiamento, nella ricomposizione d’un affetto. Nella evocazione del primo amore, che, come sappiamo tutti, non viene mai vissuto carnalmente, ma solo respirato a pieno nella spiritualità. Tanti di noi s’identificano in vicende adolescenziali, rincorse agli angoli delle strade. In quegli amori teneri, delicati, fragili, in cui lei era la madonna stilnovistica, e lui l’impacciato sognatore, incapace per l’incanto di proferire parola.

C’è un racconto che mi ha emozionato, commosso, più di altri. La storia di Nena, novantenne, ex bracciante, che non sa né leggere, né scrivere, né far di conto, con una vita ferita, che amava il mare, “forse perché le assomigliava: placido in superficie, ma con profondità immense che spesso risalivano a creare gli spettacoli delle mareggiate”. Ed anche il racconto “Clochard” ha un dolore nascosto nelle carni di quest’uomo avvolto nelle coperte della Caritas, con in testa un bel cappello di lana, regalatogli da una bambina. La cifra speciali di questi racconti è la portata lirica. Il peso specifico di questi racconti è la poesia. Che è nelle vene di Luigina, è la sua ragione di vivere, la sua natura, la sua storia più intima e sorgiva.

Marcello Buttazzo