La Palermo di Giosuè Calaciura
di Antonio Stanca –
Giosuè Calaciura è un giornalista e scrittore palermitano di cinquantotto anni. E’ nato a Palermo nel 1960 e il suo esordio nella narrativa è avvenuto col romanzo Malacarne, scritto nel 1997 e pubblicato nel 1998. Aveva trentasette anni e d’allora ha continuato come scrittore e come giornalista. Vive a Roma e conduce il programma radiofonico “Fahrenheit”.
Nel 2002 col romanzo Sgobbo vinse il Premio Selezione Campiello e nel 2017 il Premio Volponi, primo classificato, andò al romanzo, Borgo Vecchio. Al 2017 risale pure la terza edizione di quest’opera che venne proposta dalla casa editrice Sellerio di Palermo, presso la quale Calaciura ha pubblicato la maggior parte dei suoi lavori.
In Borgo Vecchio lo scrittore torna a dire della realtà siciliana, stavolta di quella palermitana e la mostra in tutti quelli che ancora oggi sono gli aspetti di certi quartieri di Palermo, fa vedere come essi siano rimasti lontani dal processo di urbanizzazione, come siano ancora privi di ordine, regole, decoro e come una simile situazione sia accettata, sia diventata sistema per chi la vive. Borgo Vecchio è, appunto, il nome di uno di questi quartierie di esso lo scrittore narra nel romanzo. È composto da una serie infinita di strade strette, buie, di vicoli a volte senza uscita, di case vecchie, decrepite nelle quali si vive in tanti, è un quartiere malfamato dove mancano gli elementi primi e la polizia ha difficoltà ad entrare perché esposta si trova a pericoli di ogni genere, dove il furto, l’imbroglio, l’ingannosono ormai diventati modi di fare diffusi, tollerati.
È stata la tendenza del giornalista quella che ha mosso Calaciura a dire di una realtà così particolare, è stata la curiosità del cronista a fargli scrivere cosa succede, come si vive tra quelle strade, in quelle case. Ma è stato pure lo spirito dello scrittore che, pur tra tante rovine, non ha rinunciato a cercare dei principi, dei valori perché sicuro era che ancora esistevano e che andavano oltre quell’evidenza.
Motivi professionali e motivi morali hanno animato il Calaciura di questo romanzo dove, tra l’altro, non ha egli rinunciato a cogliere gli aspetti comici di certe situazioni, a diffondere un tono sommessamente umoristico.
Il cronista che ritrae e lo scrittore che riflette è il Calaciura di Borgo Vecchio. Ci sono nell’opera una realtà ben precisa fatta di regole alterateed una coscienza nella quale quella realtà si riflette, dalla quale viene giudicata. Questa lo scrittore fa interpretare a tre ragazzi, Mimmo, Cristofaro e Celeste. Sono compagni, amici, sono quasi coetanei e attraverso i loro discorsi, le loro confessioni, le loro confidenze Calaciura fa scorrere tutta la vita di Borgo Vecchio, la mette a confronto con i loro pensieri, i loro sentimenti che sono diversi dalla triste realtà che li circonda. Dei tre ragazzi lo scrittore fa i giudici di quanto rappresentato, ad essi affida la sua valutazione.
Tutti e tre soffrono della loro vita a Borgo Vecchio: Mimmo sta con un padre che inganna i clienti nel suo negozio di alimentari e che usa mezzi clandestini per far vincere il suo cavallo, Nanà, all’ippodromo; Cristofaro viene picchiato a sangue ogni sera perché su di lui trova sfogo la furia, la rabbia del padre sempre ubriaco; Celeste vive la maggior parte del suo tempo sul balcone dell’unica stanza che costituisce la casa sua e di sua madre. Lo deve fare anche quando piove, quando fa freddo perché quella stanza è perennemente occupata dalla madre prostituta e dai suoi moltissimi clienti che ogni girono riceve. Celeste non sa di chi è figlia.
È nella stalla del cavallo Nanà che i tre si riuniscono a dire delle loro pene e di quant’altro di grave succede a Borgo Vecchio, è là che pensano a come sarebbe possibile cambiare la loro e la vita degli altri, è là che progettano di rivolgersi addirittura a Totò il rapinatore per fare giustizia dei tanti soprusi che avvengono a Borgo Vecchio e che hanno fatto di questo quartiere un luogo di paura perenne per chi lo abita. Totò diventa nell’immaginario dei ragazzi il loro eroe, il loro bandito buono che, pur se immerso nella malavita, riesce a distinguere il bene e a farlo ottenere, a proteggere i deboli, ad aiutare i bisognosi. Totò li aiuterà ma solo per il tempo che gli rimane perché a breve sarà scoperto dalle forze dell’ordine che a lungo indagavano su di lui e sarà ucciso mentre tentava di fuggire. Anche Cristofaro morirà sfinito dalle percosse di un padre crudele e a pensare, a parlare, a sognare rimarranno Mimmo e Celeste, s’innamoreranno, s’imbarcheranno, se ne andranno da Borgo Vecchio, cercheranno quell’altra vita alla quale sempre hanno pensato.
Si concluderà il romanzo con l’immagine della nave che salpa dal porto di Palermo recando con sé i due ragazzi e le loro speranze.
A differenza degli altri abitanti di Borgo Vecchio Mimmo e Celeste non hanno accettato quella vita, il loro è stato un giudizio di rifiuto, di condanna.E di fronte all’impossibilità di cambiarla, l’hanno abbandonata.
È anche il giudizio dello scrittore quello espresso dai ragazzi, è la coscienza di lui, s’è detto, che si mostra tramite la loro e degna di lode va ritenuta quest’opera per l’abile costruzione che l’autore ha saputo compiere.
Antonio Stanca
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