di Antonio Zoretti

Ha preso il via il 1° settembre scorso nell’ex convento dei Teatini la quarta edizione di Sound Makers Festival. La manifestazione si svolgerà tra Lecce e Copertino fino al 7 settembre. Il filo conduttore è il tema della pace.

Bene; l’appuntamento di giovedì 4 è stato incentrato intorno alla figura di Danilo Dolci (Sesana, 28 giugno 1924 – Trappeto, 30 settembre 1997): sociologo, poeta, educatore e attivista della nonviolenza. A lui si devono le battaglie contro le mafie nel dopoguerra in Sicilia e l’attuale “Centro per lo Sviluppo Creativo”  a lui intitolato funge da portavoce e ne assicura il proseguimento dell’attività pedagogica ed educativa.

“Non esistono valori assoluti, avulsi da creature. Non esiste la coscienza assoluta. Non essendo possibile possedere tutta la verità occorre, valorizzando quanto collaudato nei secoli, alimentarci e fecondarci da ogni incontro.” (Danilo Dolci, in Nessi fra esperienza etica e politica).

Pertanto egli anziché divulgare verità precotte, pensava a coinvolgere direttamente gli interessati, facendoli partecipare attivamente alla missione o esercizio da compiere. Danilo fece nascere il Centro Educativo di Mirto, ancora e salvezza dei bambini; lottò contro la prepotenza mafiosa che controllava l’acqua ricavandone esosi guadagni, facendo erigere una diga sul fiume Jato per assicurare l’acqua come bene comune. Sembra scontato dire questo oggi, ma a quei tempi nella Sicilia occidentale non lo era affatto. Ne conseguì un notevole sviluppo economico in quella zona,  divenendo occasione di cambiamento economico, sociale e civile.

Sono solo due esempi, questi, ma grandi per dimostrare il lavoro umanitario svolto dall’opera di questo personaggio, attestandosi peraltro la stima  e solidarietà di alte personalità del momento, come Norberto Bobbio, Carlo Levi, Ignazio Silone, Adous Huxley, Jean Piaget, Bertrand Russel e Erich Fromm, anche se qualcun altro lo definì sovversivo, come il cardinale Ernesto Ruffini, per esempio.

Danilo Dolci era amore per gli altri, non dispensava verità teoriche, ma aiutava le persone escluse dal potere e dalle decisioni con i fatti. Da uomo pratico quale era volgeva all’azione, senza ripensamenti, con forza e decisione. Mirava l’obiettivo e andava avanti senza distogliere l’attenzione. Potenza arcana e dotta la sua, fulgida mente, operosa all’istante. Egli si batteva con coraggio e passione, anche quando inutilmente lo chiusero in prigione. Ma ne uscì vincitore, dopo il grottesco processo che fece soltanto clamore e oltraggiò semmai ancor più la povera gente. Il  forte impegno civile ed educativo  diventa motivo centrale del suo studio e ricerca. Fu arguto nel prevedere l’involuzione democratica della società e intuì il  controllo sociale attuato dalla diffusione capillare dei mass-media. Inutile ormai parlare dei riconoscimenti attribuitigli. Il suo entusiasmo sia da esempio per le generazioni a venire… poiché manca poco che ci tolgano anche quello!

Ecco; “Digiunando davanti al mare” è il titolo del primo ‘studio’ (così chiamato in gergo nel linguaggio dei teatranti per definire un lavoro in fase di preparazione, approssimativo indi) che Giuseppe Semeraro ha rappresentato giovedì sera 4 settembre scorso nel Chiostro dell’Accademia di Belle Arti in Lecce, di Francesco Nicolini con la collaborazione di Fabrizio Saccomanno alla regia. E’ un monologo il suo, ma che interpreta due personaggi: Danilo Dolci e Ambrogio Gallo (detto lu Zimbrogi).

   Lu zimbrogi vidde arrivare lu milanese, sta strana criatura. Lu vidde venire na matina aggiurnu chiaru, come nu santu su lu camminu ,’ncuntratu come san Giovanni pi la via. Ce disse: <<unni stati iennu o furestieru, vai  circannu  la pace? Ma a me ‘ncuntrasti ca la pirdii e nun pozzu mancu ascire alla casuzza te la matre mia, ca la itti ‘nchiusa e ‘ncatinata. Tuppi tuppi cu mou lu passu, sugnu la mia matruzza addolorata, la cara matri mia, ca nun pozzu vetire, ca li Baruni me sta ‘ncatinanu cu portu bestie a pasculare.  Amu  fare  l’aneddu alli  Signuri, ca stanu chiuviddi e pedi a cruci. Ah caru mastru chi  faciti astura , faci  cu chiova  apposta pi  li Signuri. Oh caru mastru nun lu pozzu fari sennò ci mettunu a mia intru le mura: La bedda matri  ‘ndisi stu criaturu e issu fice vuturi munnu, terra e mari.>>

Chi fu, quindi, per Ambrogio Gallo e per la povera gente l’intruso giunto dal continente? Fu il cambiamento, la conquista delle terre, dei diritti, dei provvedimenti, fu la svolta autentica e l’avvenimento. E per chi era abituato al digiuno da sempre, passare una notte DIGIUNANDO DAVANTI AL MARE e sotto le stelle insieme a Danilo Dolci, fu per lu Zimbrogi un divertimento.

   Arrivanu li barche, quante barche a Palermo, li farabutti cu le facci brutte sbarcanu le merci , e nui arristammu  allu  buiu, e allu scuru la Sicilia chiance. Li fetusi tutti li sordi se pijanu e le campagne spugghiate  cu la negghia lassanu. N’arrubanu tuttu, puru li  culuri  do mari, e sun pazzuti  puru li pisci e  sulu  lamentu  ora sannu  fare. Alle fimmine  noscie  ci scipparunu di l’occhi, lu lustru e lu focu ca addumava li specchi. N’arrubarunu puru l’acqua, ca servia pi tutti, arristammu allu buiu, e allu buiu la Sicilia chiance!

 

NB – I testi in corsivo sono tratti da canzoni di Rosa Balestrieri, altra combattente in terra di Sicilia.                

Ho considerato solo la struttura del testo di Rosa (l’asse portante, diciamo), varie sono state le modifiche e variazioni da me apportate.

Grazie e arrivederci.