di Marcello Buttazzo –

Letterine come volatili bolle di sapone da soffiare in un altrove vicino, in un altrove lontano. Letterine come rosse sillabe d’amore, di attesa, di speranza, da destinare ai nostri simili. Sogni, chimere, utopie, piccoli riscontri pratici s’agitano nel nostro immaginario, perché vorremmo più d’ogni cosa un mondo vivibile, praticabile. Una Terra a misura d’uomo e di donna, che finalmente si metta a giare a quote più normali. Una Terra ecosostenibile e antropologicamente popolata di esseri consapevoli e contegnosi, ligi ad una superiore etica della responsabilità. Letterine come invocazioni d’aiuto, come echi straziati da far pervenire a chi domina l’universo con la sua pervicacia, con la forza, con l’astuzia, con l’intrusivo potere. Lettere silenziose da sussurrare alla luna, alle stelle, alla nascente aurora, per un riscontro minimo. Nessuno, probabilmente, ci ascolterà, ci risponderà, ma quantomeno proveremo la sensazione della insistita invocazione. Il tempo implacabilmente trascorre. E questo mondo stancamente continua a girare. Corre il tempo. Noi, ancora oggi, con l’animo fanciullo, con stupore primigenio, verghiamo la nostra letterina di rosei sentimenti e la lanciamo nel vento. La facciamo vibrare, oltre il nostro stretto giardino. In un mondo globalizzato, aperto, fluido, è veramente doloroso assistere a varie latitudini alla reiterata violazione della Carta dei diritti umani. In tante contrade della terra, i cristiani vengono ferocemente perseguitati e uccisi, incarcerati, solo per una convinta adesione di fede. E minoranze etniche dappertutto vengono misconosciute. Ovunque guerre spietate e ferine di dominio, di potere, insanguinano i giorni feriti di poveri uomini, di donne, di bambini. Ci sono giovani coraggiosi e intraprendenti, nel mondo, che si battono contro teocrazie severe. A chi è sopraffatto dalle angherie va il nostro sostegno, il nostro calore, la vicinanza empatica e umana, nella speranza che sani virgulti di democrazia possano attecchire ovunque, nella certezza che i muri dell’intolleranza e dell’incomunicabilità sono inevitabilmente destinati a sgretolarsi e che le ottuse statue dei dittatori, prima o poi, verranno abbattute. Le nostre parole d’amore giungano al Dalai Lama e al suo Tibet, martoriato dal 1959 da una violenta occupazione cinese. Una terra oltraggiata, le libertà elementari negate, i diritti calpestati, la cultura d’un popolo che si sta lentamente spegnendo. La nostra letterina vuole essere, tra l’altro, una condanna recisa contro la pena morte, la massima e più efferata e più volgare e più meschina violazione della Carta dei diritti umani. L’umanità non può più tollerare l’arbitrio assoluto del boia e dello Stato che si fa assassino. La nostra letterina giunga anche ai governanti e parlamentari d’Italia. Chiediamo ad essi: cosa s’aspetta a disciplinare con regole liberali, rispettose dell’alterità e della nostra Costituzione, la sacrosanta normativa sulla cittadinanza? L’uomo ha ancora un valore? La Carta dei diritti umani è solo uno sterile susseguirsi di articoli, buoni per essere enunciati, per essere disattesi? Scriviamo semplicemente, perché il futuro si meno frustrante, meno avvilito, di questo triste presente.